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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 30 luglio 2018, n. 20122, ha affermato che è lecita la contestazione del bilancio di una società di capitali da parte dell’Agenzia delle Entrate senza che sia necessario esperire la querela di falso. Nel caso de quo, la Suprema Corte sottolinea come sia implicitamente consentito dalle norme anti-elusive che l’Agenzia delle Entrate rettifichi o contesti i criteri utilizzati per la redazione del bilancio, nel caso in cui lo stesso sia stato predisposto in modo da far emergere un credito tributario evaso o l’insussistenza del medesimo richiesto a rimborso. Infatti, non rivestendo gli amministratori il ruolo di pubblici ufficiali, il bilancio non rientra tra gli atti di cui all’art. 2700 c.c. Al contrario risulta consentito «a chiunque vi abbia interesse di impugnare la delibera di approvazione del bilancio, entro tre anni dalla sua iscrizione, per ottenerne l’annullamento, chiedendo al giudice di valutare se il documento sia stato o meno redatto in conformità dei principi inderogabili di verità e chiarezza previsti dalla legge, senza alcuna necessità di esperire contestualmente querela incidentale di falso».