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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 15 maggio 2018, n. 15793, depositata il 15 giugno 2018, ha affermato – in tema di concordato fallimentare con assunzione – che occorre l’emanazione del decreto di cui all’art. 136 l.f. affinché il curatore perda la legittimazione processuale e, pertanto, sino ad allora le cause attive rimangono in essere, in quanto l’obiettivo delle stesse è il miglior soddisfacimento dei creditori. Nel caso si specie, una società a responsabilità limitata presentava ricorso in cassazione avverso la sentenza della corte territoriale che aveva dichiarato inefficaci, ai sensi dell’art. 67, comma 2, l.f., taluni pagamenti eseguiti da una società – successivamente fallita – nei confronti della ricorrente nell’anno anteriore all’ammissione della stessa al concordato preventivo. Tuttavia, a seguito dell’omologazione della procedura di concordato fallimentare con assunzione successivamente alla dichiarazione di fallimento, la ricorrente in appello aveva richiesto che la corte territoriale interrompesse, ai sensi dell’art. 43 l.f., la revocatoria fallimentare in quanto – a suo dire – il curatore aveva perso la legittimazione processuale per effetto dell’intervenuta omologa del concordato fallimentare. La Suprema Corte, al contrario, ha rigettato il ricorso ed ha affermato che, dal momento che nel caso de quo il decreto ex art. 136 l.f. non era ancora stato emesso e che quindi l’evento interruttivo non si era ancora verificato, la legittimazione processuale del curatore perdurava. In generale, la Corte di Cassazione ha sottolineato come l’omologazione del concordato fallimentare produce l’improponibilità o l’improseguibilità delle azioni revocatorie promosse dalla curatela ai sensi degli artt. 64 e 67 l.f., purché il fondamento dell’impedimento alla prosecuzione delle stesse sia dichiarato nel processo e reso operativo ai sensi dell’art. 300 c.p.c.