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La Corte d’Appello di Milano, con la Sentenza del 16 aprile 2018, n. 1916, ha confermato la condanna della Società Facebook per aver contraffatto una banca dati –chiamata Faround – appartenente ad una società italiana. Nel caso de quo, la controversia ha avuto ad oggetto non il software in sé ma la modalità di organizzazione e accesso ai dati. Il consulente tecnico d’ufficio aveva richiesto l’accesso alla sorgente dati di proprietà della multinazionale – detta Nearby – senza, però, ottenerne l’autorizzazione. Ciò ha ingenerato la convinzione da parte del professionista nominato del plagio del software, indebolendo la tesi della “coincidenza creativa” sostenuta da Facebook. La Corte d’Appello di Milano evidenzia come – in tema di banche dati – l’elemento rilevante per la tutela autorale consiste nel fatto che i dati, a prescindere dalla loro provenienza, siano organizzati sistematicamente o metodicamente. I giudici – richiamando anche le Sentenze della Cassazione n. 13524/14, n. 20925/05 e n. 11953/93 – affermano come la creatività per accedere a detta forma di tutela debba essere minima, essendo necessario soltanto che la struttura si configuri come una «creazione individuale». Per tale ragione, il requisito di originalità sussiste anche nel caso in cui la banca dati contenga idee e nozioni semplici, a patto che siano organizzate in modo autonomo rispetto alla fonte da cui sono state prese. Per i motivi sopra enunciati, la Corte d’Appello non solo ha stabilito che l’app Faround costituisce a tutti gli effetti una banca dati, ma anche che la stessa è stata generata dal lavoro creativo ed originale – e in quanto tale meritevole di tutela come opera dell’ingegno – della società italiana Business Competence s.r.l.