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La Quinta Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza del 6 giugno 2018 (ud. 15 febbraio 2018), n. 25651, annulla senza rinvio la pronuncia della Corte d’appello di Trieste con la quale l’amministratore di fatto di una s.r.l. era stato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In questa interessante pronuncia, la Suprema Corte ricostruisce l’evoluzione giurisprudenziale avutasi negli anni in merito al rapporto tra appropriazione indebita e bancarotta patrimoniale pre-fallimentare: se le prime interpretazioni erano nel senso del concorso formale di reati o del reato complesso (che impediva l’accumulo di procedimenti solo qualora il giudicato fosse sceso prima sul reato fallimentare), la Corte Costituzionale, con sent. 200/2016, ha chiarito come l’idem factum debba essere inteso in senso naturalistico e prendere in considerazione esclusivamente la condotta del soggetto e, eventualmente, l’evento (naturalistico, non giuridico) e il nesso causale. Devono pertanto escludersi dal novero dei requisiti tanto la natura e la diversità dei beni giuridici tutelati, tanto l’evento giuridico. La Cassazione, da ultimo, ribadisce come sia ormai invalsa la tesi che vede il fallimento come condizione obiettiva di punibilità e non come evento del reato di bancarotta.