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Con la sentenza 7 giugno 2018, n. 25980 (ud. 4 maggio 2018) la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che, in presenza del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commesso nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, la confisca va circoscritta al vantaggio economico derivato dal reato, al netto delle utilità conseguite dalla Pubblica amministrazione. Ne deriva dunque che il profitto confiscabile va determinato da un lato assoggettando ad ablazione i vantaggi di natura economica patrimoniale derivanti direttamente dall’illecito e dall’altro escludendo i proventi delle prestazioni lecite. La Suprema Corte chiarisce che la verifica da fare riguarda l’esistenza di un intento fraudolento già nelle condizioni per l’ammissione al finanziamento. E solo nel caso positivo di un vizio d’origine, il vantaggio ingiusto va identificato con l’intero contributo. Ma se, come nella vicenda esaminata, questo non viene riscontrato, il “focus” sul non lecito deve riguardare la sola esecuzione del progetto finanziato, al netto dell’utile conseguito dalla Pubblica amministrazione e dunque dei proventi frutto di prestazioni legittime.