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Il 30 gennaio 2018, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni della sent. n. 4400 (ud. 6 ottobre 2017), relativa al c.d. “crac. Cirio”. Nella lunga ed articolata motivazione, la Corte affronta diverse questioni giuridiche in tema di bancarotta fraudolenta, alle quali è possibile qui solamente accennare, rimandando ad un’integrale lettura della pronuncia per un ulteriore approfondimento. La Corte, conformandosi al più recente indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. pen., sez. V, 13910/2017), definisce la sentenza dichiarativa di fallimento come “condizione obiettiva di punibilità”, negandone la natura di evento e dunque di elemento costitutivo del reato: il dolo deve dunque “coprire” la condotta distrattiva ma non il dissesto, che deve essere tuttavia prevedibile (v. Cass. pen., sez. V, 633/2018); per lo stesso motivo, diviene superflua l’individuazione del nesso causale tra condotta e fallimento. La Cassazione affronta, inoltre, il tema dell’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 2634, co. 3, c.c. (cd. vantaggi compensativi) al reato di bancarotta commesso nell’ambito di gruppi di società e chiarisce come, posta la astratta possibilità applicativa – così come in precedenza statuito dalla stessa Corte (v. Cass. pen., sez. V, 49787/2013) –, “la stessa presuppone non solo l’esistenza di un vantaggio complessivamente ricevuto dal gruppo a seguito delle operazioni, ma anche l’idoneità dello stesso a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi cagionati alla società fallita dalle operazioni, in modo che le stesse risultino non incidenti sulle ragioni dei creditori”, circostanza questa da valutarsi con particolare “rigore” in ipotesi di intervenuto fallimento, verosimilmente pregiudizievole per i creditori. Il ricorrente censurava, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità ex art. 10 L.F., norma che prevede la possibilità di apertura di una procedura concorsuale entro un anno dall’estinzione dell’impresa, avvenuta, nel caso di specie, in occasione della fusione in altra società. La Corte ha tuttavia chiarito che è onere del giudice accertare che la fusione abbia effettivamente posto fine all’attività dell’impresa in seno alla quale furono commesse le condotte illecite, ciò che nel caso sub iudice, in base al compendio probatorio emerso, non avvenne. Si trattò, in altre parole, di operazione straordinaria fittizia. La Cassazione conferma, poi, la non configurabilità del concorso formale di reati tra bancarotta fraudolenta e bancarotta impropria ex art. 223, cpv., n. 2, L.F., dovendo considerarsi il secondo illecito assorbito nel primo. È questo l’unico motivo di ricorso accolto, fondante l’annullamento con rinvio. Infine, in ossequio ad un recente orientamento giurisprudenziale, la Corte ribadisce l’applicabilità dell’aggravante di cui all’art. 219, co. 1, L.F., anche ai fatti di bancarotta impropria ex art. 223 L.F., benché non specificamente richiamati dalla norma citata.