<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza</p>
Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

15/02/2018 - Ancora un revirement in tema di rilevanza causale del c.d. effetto acceleratore dell’esposizione alle polveri d’amianto

argomento: News del mese - Diritto Penale

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Con sentenza n. 4560 del 31 gennaio 2017 (ud. 5 ottobre 2017), la Terza Sezione della Corte di Cassazione, mutando orientamento rispetto a quello recentemente espresso dalla Quarta Sezione (sent. n. 55005 del 7 dicembre 2017), ha ravvisato la sussistenza del nesso causale del c.d. aumento dell’esposizione alle polveri d’amianto avvenuta in epoca successiva alla “prima esposizione”. A tale conclusione la Corte è pervenuta osservando che «il superamento, alla stregua della letteratura scientifica ormai consolidata, della teoria della cd. dose killer non può che comportare, sul piano logico, l’adesione all’ipotesi scientifica, avente fondamento epidemiologico, secondo cui l’aumento della esposizione produce effetti nel periodo di induzione e di latenza. E infatti, ove non li producesse, allora dovrebbe concludersi, nuovamente, nel senso che l’esposizione ad un determinato quantitativo di sostanza sia sufficiente a determinare l’innesco della malattia; e in questo modo si tornerebbe, all’evidenza, alla teoria della dose killer». La Corte, inoltre, ha ritenuto di poter superare le obbiezioni della difesa (con cui si è evidenziato che «il discorso fin qui articolato si fonda, ancora una volta, su una regola probabilistica di natura epidemiologica, nel senso che se è dimostrato, come riferito dai periti, che all’aumentare della esposizione corrisponda, in un determinato numero di casi, l’accorciamento dell’induzione e della latenza, ciò che non è dimostrato è che tale processo si sia sicuramente verificato nel caso» concreto), osservando che «l’apparente aporia logica sottesa al ragionamento fin qui svolto non considera che in base alla disciplina dettata dall’art. 41 cod. pen. vi è una sostanziale equiparazione, sul piano normativo, tra tutti i fattori causali, preesistenti, concomitanti e successivi; sicché la presenza di un determinato fattore esclude gli altri soltanto quando sia “sopravvenuto” e “da solo sufficiente a determinare l’evento”». Sicché, osserva la Corte, «essendosi in presenza di fattore causale (l’esposizione a amianto) riferibile ad un medesimo insediamento produttivo, operante in maniera continuativa per diversi decenni, deve escludersi che i periodi di esposizione della sostanza successivi al primo - periodi convenzionalmente frazionati al fine di poterli riferire, secondo le regole della responsabilità penale, ai singoli dirigenti, ma in realtà riconducibili ad un contesto chiaramente unitario - possano essere ricondotti nell’ambito dei menzionati fattori di interruzione del nesso causale». Su tali presupposti, la Corte ha concluso affermando «la rilevanza etiologica delle esposizioni» successive (riferibili, ciascuna, a diversi titolari della posizione datoriale) «in quanto “concause” che, al di là del significativo valore epidemiologico assunto, avevano certamente concorso a determinare la grave neoplasia dell’apparato respiratorio e, conseguentemente, l’evento morte dei tre lavoratori, soprattutto in quanto si consideri la natura, da nessuno qui contestata, del mesotelioma quale patologia dose-dipendente». Per completezza, si segnala l’orientamento di segno opposto espresso dalla già ricordata sentenza n. 5505, del 7 dicembre 2017, con cui la Quarta Sezione della Suprema Corte aveva affermato che «dall’analisi giurisprudenziale si evince, peraltro, che il c.d. “effetto acceleratore” è concetto nato in ambito giudiziario, ma non può assolutamente considerarsi evenienza affermata da un sapere scientifico consolidato».