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Con la sentenza 9 gennaio 2018, n. 267 (ud. 5 dicembre 2017) la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha nuovamente statuito che «nei reati tributari il profitto è identificabile con qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario». Inoltre, con la medesima pronuncia, la Suprema Corte ha altresì ribadito il principio secondo cui «quando il sequestro cd. diretto del profitto del reato tributario non sia possibile nei confronti della società, non è consentito nei confronti dell’ente collettivo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, salvo che la persona giuridica costituisca uno schermo fittizio poiché i reati tributari non sono ricompresi nella lista del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 tra quelli che consentono il sequestro per equivalente nei confronti di una persona giuridica».