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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 26 giugno 2019, n. 17067, ha affermato che non è soggetto ad azione revocatoria ordinaria il contratto preliminare di un immobile, in quanto lo stesso non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile come atto di disposizione del patrimonio. Nel caso di specie, l’Istituto di Credito – creditore del promissario venditore, garante fideiussore di una società in liquidazione insolvente – agiva in giudizio per chiedere la revoca del contratto preliminare di vendita dell’immobile. Le pretese dell’Istituto di Credito venivano accolte in primo e secondo grado; il promissario acquirente ricorreva, quindi, per Cassazione. La Suprema Corte si è pronunciata evidenziando che il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio – assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria –, che può, invece, avere ad oggetto l’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; inoltre «la sussistenza del presupposto dell’“eventus damni” per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti (Cass. 15215/ 2018)».