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La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 17.6.2019 (ud. 22.2.2019), n. 26613, pronunciandosi su un ricorso avverso una condanna per il reato di cui agli artt. 216, co. 2, ultima parte, e 223, co. 1, L.F., ribadisce la linea maggioritaria assunta dalla giurisprudenza di legittimità sostenendo come, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 216, co. 2, ultima parte, L.F., non sia sufficiente il rilievo oggettivo della scorretta tenuta delle scritture contabili e la conseguente impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari, ma debba essere altresì provato l’elemento soggettivo del dolo generico (“che consiste nella coscienza e volontà di tenere le scritture contabili in maniera da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; elemento soggettivo la cui sussistenza va dunque affermata secondo un procedimento logico-inferenziale […]). Qualora, infatti, risulti che la condotta tenuta dal soggetto agente possa sussumersi in semplice ‘trascuratezza’ nella tenuta delle scritture contabili – peraltro avvenuta in periodi limitati e circoscritti nel tempo –, senza rappresentazione e volontà delle ulteriori conseguenze, ossia la menzionata impossibilità di ricostruzione del patrimonio e dei movimenti di affari, potrà esclusivamente ritenersi integrata la meno grave fattispecie semplice di cui all’art. 217, co. 2, L.F unitamente, nel caso di specie, all’art. 224, n. 1, LF.