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La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 3017/2019, ha affermato che all’interno del concetto di finanziamento soci, ex art. 2467 c.c., devono essere ricompresi tutti i finanziamenti «[…] in qualsiasi forma effettuati […]», ovvero ogni atto che comporti un’attribuzione patrimoniale con obbligo di futuro rimborso. Alla luce di ciò, deve essere inclusa in tale definizione anche una prolungata fornitura in esclusiva di prodotti – utilizzati dalla società – da parte del socio, in assenza di pagamento di un corrispettivo adeguato; ciò a prescindere dall’entità della partecipazione sociale e di eventuali successive azioni di recupero del credito. In primo luogo, la Suprema Corte ha sottolineato come non sia possibile considerare soggetti alla regola della postergazione stabilita dall’art. 2467 c.c. soltanto i crediti, con conseguente limitazione delle ipotesi rilevanti di finanziamento indiretto ai casi di dissimulazione. Non vi è un significato univoco del termine “finanziamento”, tanto che anche l’art. 2467, comma 2 c.c. non ne indica una definizione precisa, ma ne definisce la rilevanza «[…] in qualsiasi forma […]» vengano realizzati, intendendo per “forma” il titolo o la causa e con l’aggettivo “qualsiasi” ogni atto comportante un’attribuzione patrimoniale con obbligo di rimborso. Da ciò si può ben comprendere come debba rientrare nella fattispecie normata dall’art. 2467 c.c. anche il caso del socio che fornisce un servizio alla società in crisi senza alcun compenso, indipendentemente dall’entità della partecipazione e dalle azioni recuperatorie intraprese. L’errore di quest’ultimo risiede nel non aver subito richiesto il pagamento della somma dovuta, lasciandola a disposizione come “sostanziale” finanziamento. La Suprema Corte ha evidenziato, infine, come l’articolo in esame presenti quale ultimo termine di riferimento il divieto prescritto dall’art. 218 R.D. 267/1942 afferente al ricorso abusivo al credito.