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Il Tribunale di Roma, con Sentenza del 4 settembre 2019, n. 16936, ha affermato che è equiparabile ad un atto compiuto dal falsus procurator, e come tale inefficace nei confronti della società, un qualsiasi atto eseguito da un membro del consiglio di amministrazione senza delibera dell’organo sociale e senza spendita del nome. Il Tribunale di Roma è giunto a tale conclusione riprendendo due Sentenze della Corte di Cassazione: i) Cass. n. 1999/1979 nella quale si sottolinea che «Quando sia mancata un’espressa spendita del nome del rappresentato, gli effetti del negozio si consolidano direttamente in capo al rappresentante anche se l’altro contraente abbia avuto comunque conoscenza del mandato e dell’interesse del mandante dell’affare [...]»; ii) Cass. n. 3501/2013 nella quale si afferma in tema di società di capitali che «l’atto compiuto da un componente del c.d.a. in assenza di preventiva deliberazione dell’organo competente e senza spendita del nome sociale è equiparabile al negozio compiuto da falsus procurator e non produce alcun effetto nei confronti della società salvo che non intervenga la successiva ratifica di quest’ultima […]». Il Tribunale di Roma ha evidenziato come – al verificarsi delle condizioni sopra descritte – il soggetto deve essere considerato alla stregua di un falsus procurator anche nel caso in cui il terzo contraente sia informato del mandato di rappresentanza e dell’interesse del mandante nell’affare.