<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza</p>
Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

15/04/2019 - Impedito accesso ai locali della società: configurazione del reato di violenza privata

argomento: News del mese - Diritto Civile e Commerciale

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La Corte di Cassazione Penale, con la Sentenza del 30 gennaio 2019, n. 4779, ha affermato che l’imprenditore che inibisce l’accesso ai locali dove è stabilita la sede della società al consigliere di amministrazione – impedendogli lo svolgimento dell’attività di internal audit e controllo sull’andamento della gestione – è punito ai sensi dell’art. 610 c.p., che disciplina il reato di violenza privata. La Suprema Corte sottolinea come il reato citato si configuri quando «Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa []», intendendo come violenza un qualsiasi mezzo – sia fisico che improprio – idoneo a privare forzatamente un individuo della libertà di determinazione e azione. Inoltre, la Corte di Cassazione ha chiarito come la coscienza e volontà di obbligare qualcuno a fare, tollerare od omettere un qualsiasi fatto con la consapevolezza dell’illiceità di tale azione, costituisce la differenza tra violenza privata e delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quest’ultima definita come la coscienza di agire in modo giusto nella sostanza, ma sbagliato nella forma. Nel caso de quo, il giudice di merito ha, quindi, correttamente individuato la violenza privata poiché la chiusura dei locali si è tradotta «in un’ingiusta coartazione della libertà di determinazione della persona offesa, impedita di esercitare la facoltà di accesso nel luogo in cui la propria attività, indipendentemente da ogni profilo di fondatezza giuridica del relativo diritto».