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Analizzando l’ipotesi di reato punita dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, la Terza Sezione della Suprema Corte, ha ribadito, con sentenza n. 50919 del 17 dicembre 2019 (ud. 15 luglio 2019), che «La condotta datoriale, che pretermette l’interlocuzione con le rappresentanze sindacali unitarie o aziendali procedendo all’installazione degli impianti dai quali possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, produce l’oggettiva lesione degli interessi collettivi di cui le rappresentanze sindacali sono portatrici, in quanto deputate a riscontrare, essendo titolari ex lege del relativo diritto, se gli impianti audiovisivi, dei quali il datore di lavoro intende avvalersi, abbiano o meno, da un lato, l’idoneità a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenziale finalizzazione al controllo a distanza dello svolgimento dell’attività lavorativa, e di verificare, dall’altro, l’effettiva rispondenza di detti impianti alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza in modo da disciplinarne, attraverso l’accordo collettivo, le modalità e le condizioni d’uso e così liberare l’imprenditore dall’impedimento alla loro installazione». Di conseguenza, prosegue la Corte, ai fini dell’esclusione del reato, «non ha alcuna rilevanza il consenso scritto o orale concesso dai singoli lavoratori, in quanto la tutela penale è apprestata […] per la salvaguardia di interessi collettivi di cui […] le rappresentanze sindacali, per espressa disposizione di legge, sono esclusive portatrici, in luogo dei lavoratori che, a causa della posizione di svantaggio nella quale versano rispetto al datore di lavoro, potrebbero rendere un consenso viziato».