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La Corte di Cassazione, con Sentenza del 13 febbraio 2020, n. 3657, ha affermato che, in tema di compensi da riconoscere all’amministratore societario, la mancata richiesta dello stesso non equivale a rinuncia, salvo il caso in cui al silenzio dell’amministratore possa attribuirsi un significato negoziale. In particolare, la Suprema Corte ha precisato come il rapporto che lega l’amministratore alla società sia di tipo societario e che, nelle società di capitali, sia legittima la clausola statutaria che permette la gratuità dell’incarico; tale rinuncia al compenso deve potersi riscontrare da un comportamento concludente dell’amministratore stesso, il quale chiaramente rivela la sua effettiva volontà di rinuncia. Per contro, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quali segnali di manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, il quale non può essere oggetto di presunzioni. Occorre, pertanto, distinguere tra la condotta meramente omissiva, derivante da inerzia (tolleranza o disattenzione) e la rinuncia tacita; nel primo caso si tratta di una condotta giuridicamente non significativa, mentre nel secondo emerge un comportamento concludente con rilievo negoziale.