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Con l’ordinanza n. 3618 del 13 febbraio 2020, la Corte di Cassazione ha chiarito che ai fini della determinazione del reddito di impresa, la deduzione delle quote di ammortamento del costo dei beni strumentali deve avvenire in base alle inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio. Nel caso di specie, l’Ente della Riscossione ricorreva per Cassazione contro la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ne aveva rigettato l’appello avverso la sentenza di primo grado su due avvisi di accertamento relativi a IRES, IRAP, IVA, per gli anni 2004 e 2005, che recuperavano a tassazione (per ciascun periodo d’imposta) costi indeducibili e ricavi non dichiarati. Nella sentenza di secondo grado la CTR aveva affermato che, con riferimento all’indebita deduzione di quote di ammortamento in misura superiore a quanto consentito, la contribuente aveva dimostrato che essa non aveva tratto un risparmio d’imposta, sicché non ricorreva alcun danno erariale. I giudici di legittimità, con l’ordinanza in oggetto hanno chiarito che, in base a quelli che sono i principi di diritto che presidiano la materia dei criteri d’ammortamento, alla luce dell’indirizzo della Cassazione (Cass., 14/10/2015, n. 20680; Cass., n. 16478/2014): “a) ai fini della determinazione del reddito di impresa, la deduzione delle quote di ammortamento del costo dei beni strumentali deve avvenire in base alle inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio, operanti, in difetto di disposizioni specifiche di segno contrario, anche a fini fiscali; b) in sede di dichiarazione, il contribuente non può procedere discrezionalmente alla determinazione delle quote di ammortamento, giacché, stante la previsione dell’art. 2426, primo comma, n. 2, cod. civ., l’ammortamento deve essere necessariamente improntato al criterio di sistematicità e le quote di ammortamento, dovendo essere rapportate in modo tendenzialmente uniforme alla durata normale di utilizzazione dei beni strumentali, non possono, in assenza di adeguata esposizione della relativa giustificazione economica nella nota integrativa, variare in relazione alle diverse annualità; c) sul piano fiscale, l’art. 102, comma 2, del Tuir, lungi dal rimettere la gestione degli ammortamenti alla discrezionalità del contribuente, vincola strettamente detta gestione, anche sotto il profilo della competenza, a rigorosi parametri quantitativi, temporali e di bilancio; d) la ratio delle norme che, in materia di imposte sui redditi, disciplinano l’ammortamento dei costi per beni strumentali è quella di garantire la corretta rappresentazione del reddito d’impresa, tanto in relazione al principio di competenza, quanto in rapporto all’autonomia delle obbligazioni tributarie relative a ciascun periodo di imposta, assicurando così l’esatta determinazione della base imponibile nel caso di deduzione di spese afferenti a beni strumentali, il cui impiego e sfruttamento sia durevole nel tempo; e) l’ingiustificata adozione di un regime di ammortamento diverso da quello prescritto, implicando una deduzione non consentita, comporta l’indebita alterazione della stessa base imponibile.” In conclusione, i Giudici della suprema Corte hanno ribaltato la decisone presa dalla CTR in quanto quest’ultima non teneva conto del principio di competenza e l’applicazione (da parte della contribuente) di coefficienti d’ammortamento del costo dei beni strumentali maggiori di quelli stabiliti con il Dm. 31 dicembre 1988 e si poneva in aperto contrasto con l’art. 102, comma 2, Tuir, per il quale, appunto, “la deduzione [delle quote di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali per l’esercizio dell’impresa] è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze [...]. I coefficienti sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi”.