argomento: News del mese - Diritto Tributario
Articoli Correlati: accertamento induttivo - antieconomicità - studi di settore
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 7365 del 17 marzo 2020, ha chiarito che, in tema di accertamento induttivo, il giudice d’appello non può limitarsi a richiamare la sentenza di primo grado che ha rideterminato la percentuale di ricarico, ritenendola corretta, senza indicare in base a quali elementi e a quale percorso giuridico sia giunto alla decisione assunta e, al contrario, perché non abbia considerato altri elementi, che, se fondati, avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa. Nel caso di specie un contribuente riceveva un atto impositivo con il quale l’Ufficio accertava un maggior reddito d’impresa rispetto a quello dichiarato a ragione dell’asserita antieconomicità dell’attività svolta. Veniva così applicata al costo dei beni venduti la percentuale di ricarico utilizzata da imprese similari per attività e ambito territoriale a fronte di una percentuale più bassa di quella applicata. Il contribuente presentava ricorso avverso l’avviso di accertamento adducendo alla carenza di motivazione dello stesso. Gli Ermellini accoglievano il ricorso del contribuente in quanto la “CTR si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado laddove questa ha “legittimamente determinato la percentuale di ricarico del costo del venduto nella misura del 130%” riconoscendola come “corretta” ma senza indicare in base a quali criteri fosse pervenuta a siffatto riconoscimento a parte un generico riferimento alla “antieconomicità dell’attività d’impresa” derivante da indimostrate “gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche dell’attività esercitata”.