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Con Sentenza n. 8785 depositata il 04 marzo 2020 (ud. del 29 novembre 2019), la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha affrontato le criticità dell’art. 24 ter d.lgs. 231/2001 in relazione al rischio di applicazione estensiva del d.lgs. 231/2001 ad altre fattispecie non contemplate tra i reati presupposto, con conseguente confisca del profitto. L’obiettivo dell’art. 24 ter non è avallare una misura ablatoria del profitto derivante da un reato non presupposto, bensì individuare un vantaggio patrimoniale derivante ex se dal reato associativo, oggetto della misura ablatoria. Il profitto del reato di associazione per delinquere è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguiti dall’insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui effettiva realizzazione è agevolata dall’organizzazione criminale; conseguentemente la Corte rileva che sono i singoli reati a monte a generare materialmente le entrate, ma queste si fanno profitto divisibile solo per il tramite della sovrastruttura costituita dall’associazione per delinquere: il necessario passaggio dalle casse dell’associazione e dalle decisione dei suoi vertici rende dunque il profitto dei reati-fine il profitto proprio dell’associazione.