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La Cassazione con la sentenza n. 10084/2020 accoglie la tesi difensiva dell’imputato, che in sede di legittimità si è lamentato del mancato riconoscimento dell’attenuante comune prevista dall’art. 62 n. 1) c.p., ossia “l’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale.” Nel caso di specie l’imputato ricorre in sede di legittimità, lamentando principalmente l’assenza di dolo, facendo presente che la notifica formale degli omessi versamenti per il 2011 e il 2012 si è realizzata solo alla fine nel 2013 e che la società nel frattempo aveva messo in atto un piano di risanamento che gli avrebbe consentito di provvedere al pagamento del debito tributario. Nel 2012 una società esterna si era offerta di effettuare un apporto di capitale di 2 milione di euro, successivamente spariva inspiegabilmente. Per fronteggiare questo problema la società di famiglia dell’imputato metteva a disposizione tutto il proprio patrimonio e veniva posta in liquidazione. L’imputato inoltre rinunciava al proprio compenso come amministratore e rilasciava garanzie per ottenere un nuovo credito. La crisi quindi era da imputarsi a una congiuntura economica avversa, non alla condotta dell’imprenditore.
Con il secondo lamenta l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato mentre con il terzo si duole dell’erronea applicazione degli artt. 62 e 133 c.p. Il giudice dell’impugnazione non infatti ha ritenuto integrata l’attenuante “dell’aver agito per motivi di particolare valore sociale”, anche se il ricorrente ha tentato, senza peraltro incorrere in reati fallimentari, di proseguire l’attività d’impresa per conservare il posto di lavoro ai 55 dipendenti della società. Con la sentenza n. 10084/2020 la Cassazione rigetta i primi due motivi del ricorso, ma accoglie il terzo, che porta all’annullamento della sentenza limitatamente a questo e al rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello. In relazione al terzo motivo, per la Cassazione la Corte d’Appello si è limitata erroneamente a sostenere la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado, che ha concesso le attenuanti generiche, senza analizzare le allegazioni addotte dall’imputato per verificare se le stesse potevano integrare l’attenuante “dell’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale.” Occorre però prestare attenzione a quanto previsto dall’art. 62 bis, che disciplina le attenuanti generiche. La norma infatti stabilisce che: “Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62.” Non si può quindi escludere il concorso tra le attenuanti generiche previste dall’art. 62 bis c.p. e le attenuanti comuni contemplate dall’art 62 c.p. se sussistono elementi in grado di integrarle. In conclusione che “la sentenza impugnata sarebbe conforme a diritto se gli elementi addotti dalla difesa non fossero sufficienti ad integrare la circostanza dell’aver agito per particolari motivi di particolare valore sociale. Laddove, invece, lo fossero, occorrerebbe riconoscere la sussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 1), cod. pen., indipendentemente dal fatto che gli stessi elementi siano stati considerati anche nel più ampio giudizio relativo alla ritenuta sussistenza delle circostanze attenuanti generiche, non essendovi peraltro stato, sul punto, appello del pubblico ministero, neppure incidentale. L’accertamento di cui sopra necessita di una valutazione di merito che nella specie è mancata e rispetto alla quale la sentenza impugnata non reca motivazione.”