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Il Tribunale di Roma, con Sentenza del 15 gennaio 2020, n. 903 ha affermato che è illegittima la liquidazione della quota di una società per azioni al valore nominale se effettuata in contrasto con il disposto dell’art. 2437 ter c.c. Nel caso de quo, una fondazione bancaria recedeva dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. e contestualmente impugnava l’art. 9 dello statuto che stabiliva la liquidazione della quota sulla base del valore nominale. La fondazione contestava – nonostante la funzione pubblicistica della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. – la violazione dell’art. 2437-ter, comma 2 c.c. che prescrive la determinazione del valore della quota da parte degli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e della società di revisione, considerando la consistenza patrimoniale della società, le sue prospettive reddituali e l’eventuale valore di mercato delle azioni; la fondazione – in considerazione della inosservanza normativa – citava in giudizio la società per azioni. Quest’ultima eccepiva il difetto di giurisdizione del Tribunale Ordinario, la decadenza della fondazione attrice dall’impugnazione e chiedeva il rigetto delle domande attoree adducendo: i) la natura pubblicistica dell’atto di approvazione dello statuto; ii) il riconoscimento della validità della clausola da parte dell’art. 36, comma 3-septies L. 221/12; iii) il riferimento del recesso ad un’ipotesi convenzionale e non legale, con la conseguente possibilità di differenti valutazioni da quelle ex art. 2437-ter c.c. Il Tribunale di Roma ha respinto le eccezioni sollevate stabilendo che «anche a voler riconoscere alla Cassa natura di società a partecipazione pubblica di diritto singolare […] e la conseguente possibilità di derogare, per legge, alle specifiche disposizioni di diritto comune dettate dal codice civile per il tipo sociale prescelto, nel caso di specie, non può attribuirsi alla disposizione statutaria in questione un’efficacia normativa idonea a legittimare una deroga ai principi previsti per il recesso dei soci di società per azioni, né una tale deroga può rinvenirsi in altre disposizioni di legge in vigore alla data in cui la Fondazione ha esercitato il recesso», e, con riferimento particolare all’ultimo punto, ha ribadito che «l’art. 2437 ter c.c. non reca alcuna distinzione fra cause di recesso legali e cause di recesso statutarie al fine di dettare diversi criteri di liquidazione della quota del socio receduto. […] Distinguere i diritti del socio receduto per una causa prevista dalla legge da quelli del socio receduto per una causa prevista dallo statuto, ipotizzando, nel secondo caso, che lo statuto possa prevedere che al socio spetti la liquidazione della quota in misura diversa da quella che la legge impone in caso di recesso legale – valore commisurato alla consistenza patrimoniale della società, da valutarsi in base a criteri elastici, ma sempre ad essa correlati – non pare consentito, in mancanza di esplicita previsione normativa».