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La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 6028/2021, ha affermato che il prelievo di somme da parte dei soci di una società di persone dà luogo, anche in caso di volontà unanime, alla nascita di un credito nei confronti dei soci medesimi se non scaturenti da utili effettivamente conseguiti. Nel caso de quo, il socio subentrante di una società in nome collettivo citava in giudizio due ex soci per la restituzione di somme di denaro prelevate dalle casse sociali anteriormente al subentro. Sia in primo sia in secondo grado la domanda veniva accolta, per tale ragione i convenuti ricorrevano per Cassazione asserendo l’identità della s.n.c. con la figura dei soci e la legittimità della distribuzione di somme non costituenti utili in presenza del consenso unanime. La Suprema Corte ha osservato in primo luogo come le società di persone rappresentino veri e propri soggetti di diritto distinte dai soci e, conseguentemente, possibili soggetti titolari di diritti di credito. In secondo luogo, ai sensi dell’art. 2303, comma 1 c.c. «non può farsi luogo a ripartizione di somme fra i soci se non per utili realmente conseguiti», con la precisazione che il diritto alla percezione nasce ex art. 2262 c.c. nel momento di approvazione del rendiconto. Tale disposizione possiede natura imperativa: infatti, l’art. 2627 c.c. prevede una sanzione penale per gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti. Inoltre, la quota di patrimonio sociale del socio può essere restituita soltanto in situazioni tassativamente stabilite o in sede di scioglimento. Ciò conduce ad una lettura restrittiva e non espansiva dell’incipit dell’art. 2262 c.c. che contempla un’ipotesi di patto contrario.