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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 7 giugno 2021, n. 15741, ha affermato che non sussiste nei confronti dei coniugi un obbligo di destinazione ai bisogni familiari di tutti i proventi derivanti dall’attività lavorativa. Ciò significa che al contribuente che voglia contrastare l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e che possieda una pluralità di fonti di reddito è riconosciuta la facoltà di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, la riferibilità dei proventi a scopi di lucro personale. Nel caso de quo, veniva iscritta nei confronti di un socio di una società a responsabilità limitata un’ipoteca su beni ricompresi in un fondo patrimoniale a causa dei debiti tributari contratti dalla società medesima. La Suprema Corte ha ribadito, in primo luogo, come sia possibile l’iscrizione ipotecaria su beni rientranti nel fondo patrimoniale, anche per debiti tributari, se strumentali ai bisogni familiari o se il creditore non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha sottolineato come un’interpretazione troppo estensiva del concetto “bisogni di famiglia” comporterebbe che «la prova della consapevolezza in capo al creditore dell’estraneità del debito per cui si procede a quelli contratti per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia risulta non solo estremamente difficile, ma anche in ultima analisi inutile», e come – allineandosi alle sentenze n. 16176/2018 e 8201/2020 – l’obbligazione debba possedere un’inerenza diretta e immediata con i bisogni familiari. Inoltre, questi ultimi non possono assorbire potenzialmente la totalità dei redditi del coniuge, potendo lo stesso disporre di propri redditi, ma devono intendersi «non solo in senso oggettivo, né come potenzialmente assorbenti dell’intero reddito dei coniugi, ma anche come quei bisogni che sono ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari».