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La Corte Costituzionale, con sent. del 5 dicembre 2018, n. 222 (rel. Viganò), ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata con ord. Cass. pen, sez. I, 17 novembre 2017, n. 37, concernente gli artt. 216, u.c. e 223, u.c., L.F., nella parte in cui dispongono l’applicazione, per coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta, della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e incapacità di esercitare uffici direttivi nelle imprese in misura fissa decennale. La Consulta sottolinea la incompatibilità di sanzioni fisse con i principi costituzionali di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio: le stesse rendono, infatti, impossibile la graduazione della severità della sanzione per reati di bancarotta che, benché coincidenti nel nomen iuris, ben possono fortemente distinguersi nella concreta realizzazione in fatti più o meno gravi. È necessario dunque, d’ora in poi, che il giudice stabilisca la durata della inabilitazione temporanea di cui sopra sulla base della gravità del fatto commesso dal soggetto condannato. Resta aperta la possibilità, conclude la Consulta, che la pena accessoria abbia una durata superiore a quella della pena detentiva, sempre osservando il limite normativamente previsto di 10 anni.