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La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 30 gennaio 2019 n. 4780, (ud. 20 dicembre 2018), annulla con rinvio la pronuncia della Corte d’Appello di L’Aquila con riferimento alla determinazione della durata delle pene accessorie applicate all’imputato in sede di condanna per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. La Corte Costituzionale infatti, con sent. n. 222 del 5 Dicembre 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, u.c., L.F., nella parte in cui prevede l’applicazione della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi in qualunque impresa per la durata fissa di anni dieci, a prescindere dall’entità della pena concretamente determinata dal giudice in sede di condanna e con conseguente esclusione di qualunque valutazione discrezionale da parte del giudice del merito, essenziale per un miglior adeguamento della pena (anche accessoria) al caso concreto. La Corte indica inoltre, facendo proprie le parole della Consulta, che il giudice del rinvio dovrà rideterminare la durata della pena accessoria in base non solo ai criteri di cui all’art. 133 c.p., ma “tenendo conto degli specifici indicatori – diversi da quelli relativi alla determinazione nei limiti edittali delle pene principali – […], in riferimento al carico di afflittività delle medesime rispetto ai diritti fondamentali della persona (art. 41 Cost. libertà di iniziativa economica; art. 4 Cost. diritto al lavoro; art. 117 Cost. in rif. art. 8 CEDU e 1 prot. addizionale CEDU) ed alla finalità non solo rieducativa, ma di prevenzione speciale negativa e di emenda”.