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La Corte di Cassazione, con sentenza del 16 settembre 2021, n. 25070, si è soffermata sulla differenza tra il marchio complesso, costituito da una composizione di più elementi dotati di capacità caratterizzante e con necessità di una valutazione parcellizzata da parte del giudice, e il marchio d’insieme il quale deriva il proprio valore distintivo dall’unione di vari elementi singolarmente privi di distintività. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha sottolineato come la confluenza di parole comuni all’interno dell’elemento lessicale “Nonsolomoda” non escluda l’obbligo da parte del giudice di verificare la valenza distintiva scaturente dalla combinazione dei termini citati: esso possiede la facoltà di liquidare, ex art. 125, comma 2 c.p.i., il danno in una «somma globale stabilita in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano». In tal caso, devono essere considerati anche gli elementi indiziari offerti dal danneggiato e, se il titolare non sia riuscito a dimostrare il mancato guadagno, il lucro cessante può essere liquidato attraverso il metodo della giusta royalty o royalty virtuale, senza che debba essere provato che con il diritto di proprietà industriale oggetto della violazione egli avrebbe concluso un contratto di licenza del diritto medesimo. Inoltre, la responsabilità dell’hosting provider, ex art. 16 del d.lgs. n. 70/2003, viene configurata, in caso di non immediata rimozione dei contenuti illeciti o di continuità nella pubblicazione, al ricorrere delle seguenti condizioni: i) conoscenza legale dell’illecito commesso dal destinatario del servizio; ii) ragionevole possibilità di constatazione dell’illeceità della condotta di un terzo, nel caso in cui l’hosting provider non abbia intercettato repentinamente il reato attraverso un grado di diligenza idoneo per un operatore professionale; iii) possibilità di attivarsi in tempo utile per la rimozione dei contenuti illeciti.