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Il Tribunale di Roma, con il decreto del 25 agosto 2021, ha affermato che l’amministrazione di una società di persone può essere affidata anche a soggetti esterni ai soci, con l’unica eccezione per la società in accomandita semplice nella quale la carica può essere coperta solo dagli accomandatari. Nel caso de quo, il registro delle imprese proponeva istanza per valutare la cancellazione dell’iscrizione della nomina ad amministratore di una società semplice a carico di un soggetto estraneo alla società medesima. Il Tribunale di Roma ha sottolineato come, secondo la dottrina, il potere di amministrazione nelle società personali spetti ai soci, tenendo in considerazione anche quanto disposto dagli artt. 2257, comma 1 e 2267 c.c. che recitano rispettivamente «Salvo diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri» e «[...] Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci […]». Nonostante ciò, il Tribunale di Roma ha osservato come, a partire dalla riforma del 2003, l’art. 2361 c.c. permetta la partecipazione di una società di capitali in una società di persone, con conseguente affidamento dell’incarico al proprio consiglio di amministrazione o persona da esso nominata. Pertanto, è «inevitabile una “dissociazione” tra la qualità di e l’attività di amministrazione», tesi che viene rafforzata dalla previsione dell’art. 2318, comma 2, c.c. che, in tema di società in accomandita semplice, riserva l’incarico di amministrazione ai soli soci accomandatari: ciò evidenzia come il legislatore espliciti chiaramente i casi in cui la gestione societaria non può essere esternalizzata.