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Secondo la Corte di Cassazione (ordinanza n. 2229 del 25 gennaio 2022) la cessione pro soluto dei crediti “a prezzo vile” dà luogo non a una minusvalenza, bensì ad una perdita su crediti. Di conseguenza, la deducibilità di tali componenti negativi è ammessa solo se ricorrono le condizioni recate dall’art. 101, comma 5, TUIR. Secondo la Corte, “è necessario, allora, che le perdite risultino da elementi certi precisi ovvero che il debitore sia stata assoggettato a procedure concorsuali, non comportando la cessione pro soluto ‘comunque’ la deducibilità delle perdite, ancorché in assenza di previsione in bilancio di un fondo accantonamento rischi su crediti, la cui esistenza comporta che le perdite sono deducibili soltanto per l’eventuale quota non coperta dall’accantonamento stesso”. Di conseguenza, “ai sensi dell’art. 101, comma 5, Tuir, con riferimento alle ipotesi di perdite su crediti determinate da cessioni pro soluto, gli elementi di certezza e precisione non riguardano solo la perdita emergente dalla cessione in sé considerata, ma anche gli elementi che, a monte, hanno indotto alla cessione medesima, come dimostrato anche dalla valenza ‘presuntiva’ attribuita nell’ambito della medesima norma all’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale”.