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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 15 luglio 2022, n. 22327, ha affermato che la vendita di una parzialità dei beni costituenti l’impresa configura cessione d’azienda nel caso in cui sia conservato un residuo di organizzazione; inoltre, la prova dell’operazione in esame può essere fornita anche nell’ipotesi di spostamento dell’attività da parte del cessionario in nuovi locali. La Suprema Corte ha dato un’interessante interpretazione del combinato disposto degli artt. 3, comma 1 lett. b) e 15, comma 1 lett. d) D.P.R. 131/86, asserendo come, in un’operazione di cessione d’azienda con i requisiti disposti nelle disposizioni citate, sorga l’obbligo di registrazione d’ufficio anche nel caso in cui si sia in presenza di un contratto verbale. Nel caso de quo, il giudice di merito aveva ritenuto che fosse esclusa la registrazione d’ufficio a causa dell’assenza della prova della continuazione dell’attività aziendale all’interno dei medesimi locali, requisito fondamentale a parere del giudice medesimo ex art. 15 D.P.R. 131/86. La Corte di Cassazione, in opposizione a tale interpretazione, ha chiarito come vi siano due fattispecie di “prova indiretta” della cessione d’azienda verbale: i) la prima fondata su una presunzione legale nel caso di continuazione dell’attività nel medesimo locale, accompagnata da modifiche alla ditta, all’insegna o alla titolarità dell’impresa; ii) la seconda fondata su una presunzione semplice nel caso in cui vi siano circostanze gravi, precise e concordanti che testimonino il passaggio dell’azienda. Per tale ragione, la prova presuntiva della cessione d’azienda non richiede obbligatoriamente «l’immutata collocazione dei beni strumentali all’interno dei medesimi locali», essendo illogico precludere l’accertamento del trasferimento d’azienda in tutte quelle fattispecie in cui vi sia lo spostamento dei beni.