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La Corte di Cassazione, con Ordinanza del 3 ottobre 2018, n. 24139, ha escluso che la sola inerzia dell’amministratore nel richiedere alla società la corresponsione del proprio compenso – che potrebbe essere dipesa anche da mera tolleranza o disattenzione – possa integrare un comportamento concludente nel senso della rinunzia tacita allo stesso. Con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso di un amministratore di una s.r.l. che aveva agito in giudizio nei confronti della società per l’ottenimento del pagamento dei propri compensi a fronte dell’attività prestata, ritenendo che il mero ritardo nel richiederne la liquidazione integrasse unicamente una condotta omissiva che tuttavia non poteva costituire una rinuncia tacita ai compensi. Nello specifico, dalla lettura congiunta dell’art. 2389 c.c., in tema di compensi degli amministratori di s.p.a., nonché dell’art. 1709 c.c. in tema di mandato, la Suprema Corte ha precisato che la natura (di regola) onerosa del rapporto che lega l’amministratore alla società esclude che possa ravvisarsi la presunzione in virtù della quale il diritto a percepire il compenso debba essere subordinato ad una specifica richiesta da parte dell’amministratore.