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1. La disciplina del sovraindebitamento: un breve inquadramento - 2. Una precisazione lessicale - 3. I presupposti di ammissibilità - 4. L'accordo del debitore: profili di sintesi - 5. Intersezioni tra accordo del debitore e fallimento - 6. Accordo del debitore e start up - 7. Uno sguardo alla casistica - 8. La Riforma Rordorf
Com’è noto, l’introduzione delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento è il punto di arrivo di un percorso normativo lungo e complesso. Basterà qui ricordare i provvedimenti normativi che si sono rapidamente succeduti: il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, che prevedeva un primo nucleo della disciplina dell’insolvenza dei soggetti non fallibili, non fu convertito in legge; gli artt. 6 e ss. della l. 27 gennaio 2012, n. 3 furono modificati, a stretto giro, già dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 79, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221; due anni più tardi, è intervenuto il d.m. 24 settembre 2014, n. 202, che ha istituito il registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento. A tal proposito, la dottrina non ha mancato di rilevare che un simile “accidentato cammino” ha avuto quale esito “un testo normativo poco lineare, spesso confuso e con numerose sovrapposizioni, e persino con qualche contraddizione” (Costa, Profili problematici della disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, III, Milano, 2015, 1314). Al netto di tale prima criticità, si è osservato che con la disciplina del sovraindebitamento “lo Stato affida all’autonomia negoziale la gestione del sovraindebitamento del debitore civile e prende atto della necessità di un intervento in tal senso per evitare ripercussioni ulteriori sull’economia nazionale” (Rossi Carleo, Oltre il consumatore nel tempo della crisi: le nuove competenze dell’AGCM, in AA.VV., Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica. Italia e Spagna a confronto, a cura di Grisi, Napoli, 2014, 253 ss.). Vale la pena ricordare che le procedure di sovraindebitamento rappresentano un notevole cambio di prospettiva da parte dell’ordinamento: il sistema italiano regolava sin qui l’insolvenza del debitore civile applicando pedissequamente le norme in materia di espropriazione forzata. Viceversa, la nuova disciplina introduce chiari profili di concorsualità nel trattamento del sovraindebitamento del debitore che, per espressa previsione legislativa, non può accedere alle ordinarie procedure concorsuali. Non è superfluo ricordare quale sia l’origine storica dell’impostazione sin qui [continua ..]
Occorre sottolineare che la legge n. 3/2012, mutuando un’impostazione tipica dei sistemi di Common Law, offre in apertura all’interprete alcune notazioni terminologiche, specificando quale sia il significato di alcuni lemmi che ricorrono nella legge stessa. Si chiarisce così, ad esempio, che “sovraindebitamento” è “una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” (art. 6, lett. a). Resta fermo che il debitore che può accedere alle procedure di cui alla l. 3/2012 è soltanto il soggetto che versi in una situazione di sovraindebitamento non assoggettabile alle procedure concorsuali ordinarie (art. 6, comma 1).
L’art. 7 della legge n. 3/2012 individua alcuni presupposti che devono essere rispettati affinché il soggetto possa accedere alle procedure di sovraindebitamento (per il piano dei consumatori si veda quanto stabilito dal comma 1-bis, art. 7). L’accordo: − deve assicurare il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili (ai sensi dell’art. 545 c.p.c. e delle leggi speciali); − deve prevedere scadenze e modalità di pagamento dei creditori di ciascuna classe; − deve indicare le eventuali garanzie rilasciate e le modalità per l’eventuale liquidazione di beni; − deve prevedere l’integrale soddisfacimento dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, dell’IVA e delle ritenute operate, mentre è consentito prevedere una dilazione del pagamento. L’accordo: − può prevedere la suddivisione dei creditori in classi; − può prevedere, per i crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca, in soddisfacimento non integrale, ma ne deve comunque assicurare il pagamento in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile in caso di liquidazione, avendo riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti oggetto del privilegio, come attestato dagli O.C.C.; − può prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori. Il gestore incaricato deve essere un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l.f. (ossia un professionista che potrebbe essere nominato curatore). Ciò si comprende perché i compiti che vengono affidati al gestore sono simili a quelli cui è chiamato a svolgere il curatore in ambito fallimentare per quanto riguarda la gestione e la liquidazione dell’attivo del fallimento. Al secondo comma dell’art. 7, vengono posti ulteriori requisiti, in senso negativo, in questo caso riferiti al soggetto sovraindebitato, sia esso un debitore non fallibile ovvero un soggetto qualificabile quale consumatore. La proposta non sarà ammissibile qualora il soggetto: a) sia sottoposto a procedure concorsuali diverse da quelle di sovraindebitamento ex legge n. 3/2012; b) abbia già fatto ricorso ad una delle procedure di sovraindebitamento, ex l. [continua ..]
Gli assi fondamentali della disciplina dell’accordo del debitore sono i seguenti: – il debitore formula una proposta diretta alla ristrutturazione dei debiti e alla soddisfazione dei crediti; – tale proposta necessita dell’approvazione di tanti creditori che rappresentino il 60% dei crediti; – una volta approvata, la proposta è sottoposta al giudizio di omologazione da parte del Tribunale e diviene obbligatoria per tutti i creditori anteriori. Come già visto, la proposta di accordo deve assicurare la soddisfazione dei crediti impignorabili e quella dei creditori privilegiati, ancorché non integrale e purché essa sia superiore a quella eventualmente realizzabile in caso di liquidazione; la dilazione di pagamento è consentita soltanto in relazione ai tributi che costituiscono risorse proprie della U.E., in relazione all’I.V.A. e alle ritenute operate e non versate. Occorre sottolineare che se la proposta del creditore è approvata, l’Organismo di composizione della crisi invia ai creditori una relazione; entro i dieci giorni successivi, i creditori possono formulare contestazioni. Decorso il termine suddetto, l’Organismo trasmette al giudice la relazione e le eventuali opposizioni, attestando altresì la fattibilità del piano. L’accordo è omologato quando il Tribunale verifica il raggiungimento del quorum del 60% e l’idoneità del piano a soddisfare i creditori; in caso di contestazioni, il piano è ugualmente omologato laddove il Tribunale ritenga che il creditore possa essere soddisfatto, in esecuzione dell’accordo, secondo una misura non inferiore all’alternativa rappresentata dalla liquidazione. In particolare, l’accordo può prevedere (in base all’art. 8 della legge): 1. la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante crediti futuri; 2. la sottoscrizione da parte di uno o più terzi che tramite il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti, consentano di assicurare l’attuabilità del piano; 3. eventuali limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo, all’utilizzo di strumenti di pagamento elettronico e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari; 4. una moratoria, fino ad un anno dall’omologa, per il pagamento dei creditori muniti di [continua ..]
La dottrina si è occupata del rapporto tra accordo del debitore e fallimento, muovendo dall’art. 12, comma 5, legge n. 3/2012, secondo cui “la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo”. Per conseguenza, gli atti posti in esecuzione dell’accordo non sono soggetti a revocatoria. “Evidentemente – si è osservato – il legislatore vuole riferirsi ad alcune ipotesi limite, come quella in cui il soggetto si sia rivelato successivamente fallibile e quindi sia stato erroneamente ammesso alla procedura, oppure abbia avviato una attività di impresa durante la procedura, oppure ancora sia un soggetto non fallibile di per sé, ma che potrebbe fallire a seguito del fallimento altrui, come i soci di società di persone” (Costa, Profili problematici della disciplina della composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, III, Milano, 2015, 1320).
Innanzitutto, occorre soffermarsi sinteticamente sui contorni della start up, ricordando che la regolamentazione di tale società è caratterizzata da un marcato favor del legislatore; numerose sono, del resto, le deviazioni dal diritto commerciale e da quello fallimentare. In dottrina si è osservato che “la previsione, nell’ambito della disciplina societaria, di norme applicabili ad una categoria che abbracci più tipi rappresenta una tecnica a cui il legislatore è ricorso più volte e in contesti differenti. Anche le startup (…) rappresentano una categoria: infatti, possono essere costituite in forme differenti, che comprendono tutti i tipi di società capitalistiche, le cooperative, le società europee, purché non quotate” (Cagnasso, in un contributo in corso di pubblicazione in Giur. It.). Introdotta nell’ordinamento al fine di incentivare lo sviluppo tecnologico e l’occupazione, la start up innovativa, ai sensi dell’art. 25, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni in legge 17 dicembre 2012, n. 221, “è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione”. Rappresentano ulteriori requisiti: a) il fatto di essere costituita da non oltre 60 mesi dalla data di presentazione della domanda e lo svolgimento di attività d’impresa; b) avere la sede principale degli affari e degli interessi in Italia; c) a partire dal secondo anno di attività, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro 6 mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro; d) la start up innovativa non distribuisce e non ha distribuito utili; e) l’oggetto sociale esclusivo o prevalente è costituito dallo sviluppo, dalla produzione o dalla commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico; f) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo d’azienda; g) le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15% del maggior valore fra costo e valore totale della produzione della start [continua ..]
Ai sensi dell’art. 480, comma 2, c.p.c., il precetto deve “contenere l’avvertimento che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore”. L’addizione normativa, operata da d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni in legge 6 agosto 2015, n. 132, ha originato più interpretazioni. Secondo un primo orientamento, l’atto di precetto che difetti di tale avvertimento è nullo (Trib. Milano, 23 dicembre 2015, su leggiditalia.it). Un altro indirizzo, più attento al dato letterale, ha correttamente rilevato che il codice di rito non prevede che l’inserimento dell’avvertimento debba avvenire a pena di nullità, e stabilito quindi la validità del precetto che ne sia eventualmente sprovvisto (Trib. Frosinone, 28 gennaio 2016, su leggiditalia.it; Trib. Roma, 19 gennaio 2016, ivi). Sempre sul piano strettamente processuale, si è stabilito che “nel procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento è necessaria l’assistenza tecnica del debitore poiché: 1) la proposta è una domanda giudiziale con il fine di comporre una crisi finanziaria, e si è in presenza di interessi contrapposti; 2) il ricorso è introduttivo di una procedura; 3) la procedura si svolge davanti ad un tribunale; 4) la procedura presenta fasi potenzialmente contenziose” (Trib. Vicenza, 29 aprile 2014, su ilcaso.it). La stessa decisione ammette però che “l’assistenza di un legale che assista il debitore può non essere necessaria se nell’O.C.C. che concretamente presenta la domanda vi sia anche un legale che se ne faccia carico, curando tutti gli aspetti tecnici della stessa”. Resta comunque fermo che “nella procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento nulla vieta al debitore di avvalersi per la redazione del piano di un soggetto di sua fiducia ma è l’O.C.C. che, in ogni caso, deve fare proprio, se condiviso, il piano redatto dal professionista privato, verificandone sia la veridicità che la fattibilità a norma di legge (art. 15, co. 6, l. n. 3/2012), e così rendendosi [continua ..]