L’autore analizza il nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c. – introdotto nel nostro ordinamento dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza –, che prevede l’istituzione di un assetto organizzativo adeguato anche in funzione dell’intercettazione tempestiva della crisi d’impresa e della perdita della continuità aziendale. Interessante è l’esame di tale novità di concerto con l’art. 377 c.c.i., introduttivo – per tutti i tipi societari – del richiamo, in ordine alla gestione dell’impresa, al citato art. 2086, comma 2, c.c., per il quale l’autore tenta di fornire un’interpretazione. L’approfondimento termina con il richiamo al principio di corretta amministrazione, con una disquisizione in ordine alla scelta del legislatore di escludere – almeno in via diretta – l’imprenditore individuale dall’obbligo degli adeguati assetti e, da ultimo, con l’analisi del rapporto tra adeguati assetti e natura e dimensioni dell’impresa.
The author analyzes the new second paragraph of article 2086 of the Italian Civil Code – introduced into our legal system by the Corporate Crisis and Insolvency Code –, which provides for the establishment of an adequate organizational structure also in function of the timely interception of the business crisis and the loss of going-concern. It is interesting to examine this legislative development in concert with article 377 c.c.i., introductory – for all corporate types – of the reference, in relation to the management of the company, to the aforementioned article 2086, paragraph 2, of the Italian Civil Code, for which the author tries to provide an interpretation. The in-depth analysis ends with a reference to the principle of correct administration, with a discourse regarding the choice of the legislator to exclude – at least directly – the individual entrepreneur from the obligation of adequate structures and, lastly, with the analysis of the relationship between adequate organization and nature and size of the company.
Keywords: adequate organizational structures – article 377 c.c.i. – individual entrepreneur.
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1. Premessa - 2. La collocazione “topografica” del nuovo art. 2086, comma 2, c.c. - 3. Gli assetti organizzativi societari e l’art. 377 c.c.i. - 4. Gli assetti organizzativi nel nuovo art. 2086, comma 2, c.c. - NOTE
Il 16 marzo 2019 [1] è atterrato con grande fragore nel nostro ordinamento un comma (il secondo) aggiunto all’art. 2086 c.c. [2] in forza del quale “l’imprenditore, che operi in forma societaria o associativa, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Nel contempo anche la rubrica della citata norma, che era denominata “Direzione e gerarchia nell’impresa”, è stata sostituita [3] con l’espressione “Gestione dell’impresa”. Atterraggio fragoroso, ma certo non inaspettato, giacché la legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 già conteneva all’art. 14, comma 1, lett. b) il relativo principio [4] e la proposta di decreto legislativo di attuazione recante modifiche al codice civile [5], predisposta e resa nota il 22 dicembre 2017 dalla Commissione Rordorf, già prevedeva, all’art. 1, comma 2 [6], una versione identica a quella poi fatta propria dal Codice della Crisi, salvo per il fatto che gli obblighi ivi previsti erano estesi anche all’imprenditore individuale. Atterraggio fragoroso, riprendendo l’incipit del presente scritto, in quanto mi pare indiscutibile la grande e – per certi versi – inusuale attenzione che nella dottrina ha provocato l’art. 2086, comma 2, c.c. ed il correlato art. 377 c.c.i. [7] ed il peso sistematico dalla stessa dottrina assegnato alle citate norme [8]. Mi propongo in questa sede di dimostrare come nel dibattito in corso, da un lato, venga – almeno in parte – sovrastimata la novità delle norme, in quanto, l’obbligo degli assetti, seppur collocato forse in angolo più appartato dell’impianto normativo, era già presente e vivo per tutte le società di capitali; dall’altro, si sostenga – a mio avviso erroneamente – che il contenuto degli assetti si sia in qualche modo [continua ..]
L’art. 2086 c.c. si situa all’interno del Capo I “Dell’impresa in generale” – Titolo II “Del lavoro nell’impresa” del Libro V “Del lavoro”: gli articoli vanno dal 2082 al 2093. Il Capo I esordisce con l’art. 2082 c.c. che – come è noto – contiene la nozione di imprenditore e che segna, in modo epocale, il passaggio dal “commerciante” all’“imprenditore” e dall’“atto di commercio” all’“attività d’impresa” [9] ovvero dal codice di commercio al codice civile; come si è efficacemente osservato, tutto ciò si è tradotto “nell’‘imprenditorializzazione’ di tutte le attività produttive e di scambio, incluse quelle – come l’agricoltura e l’artigianato – che si erano, unanimemente e costantemente, ritenute estranee alla materia di commercio e quindi non correlabili alla nozione d’impresa che a questa materia era (sempre più diventata) centrale” [10]. In altre parole, “con il codice civile del 1942 la prospettiva viene capovolta. Il commerciante in senso tecnico – ossia colui che si pone come intermediario nella circolazione dei beni – non è ora che una variante dell’imprenditore che rappresenta la categoria generale di riferimento di tutte le attività” [11]-[12]. I restanti articoli del Capo I “Dell’impresa in generale” erano per gran parte caratterizzati dall’impronta corporativa [13] che, peraltro, come autorevolmente osservato [14], si riduceva a formule perlopiù innocue che non mettevano in discussione l’ordinamento capitalistico; quello corporativo, come è risaputo, fu soppresso, invece, con r.d.l. 9 agosto 1943, n. 721 e ciò portò all’implicita abrogazione degli artt. da 2088 a 2092 c.c., mentre per altre norme del Capo I, quali gli artt. 2084 (“Condizioni per l’esercizio dell’impresa”) e 2085 (“Indirizzo della produzione”), si è provvisto alla mera espunzione dei riferimenti all’ordinamento corporativo, rimanendo tali norme, così come l’art. 2093 c.c. (“Imprese esercitate da enti pubblici”), prive di contenuto precettivo, come lo erano anche in origine: [continua ..]
Prima di passare all’esame del contenuto del nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c. e, dunque, al tema degli assetti, della loro funzione e della correlata vera novità legislativa offerta dall’ancoraggio al principio della continuità aziendale, mette conto di soffermarsi sull’intestazione dell’obbligo nell’ambito della disciplina societaria. L’art. 377 c.c.i. – come è noto – ha introdotto una norma omogenea declinata nello stesso identico per tutti i tipi societari e per tutti i modelli di amministrazione e controllo; ciò è stato fatto modificando l’art. 2257 c.c. in tema di società semplice (norma richiamata per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice), l’art. 2380-bis c.c. concernente la società per azioni (ed applicabile anche alla società per azioni con modello monostico, alla società in accomandita per azioni ed alla società cooperativa), l’art. 2409-novies c.c. riguardante il sistema dualistico e l’art. 2475 c.c. concernente la società a responsabilità limitata (ed applicabile alla società cooperativa che adotti tale forma) con una norma “mantra” [19], in base alla quale “la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2086, 2^ comma, c.c. [e dunque sulla base di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa], e spetta esclusivamente agli amministratori [al consiglio di gestione nel sistema dualistico], i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. Il dibattito dottrinale sul punto è vivacissimo e le posizioni appaiono tra di loro distanti: il trapianto normativo potrebbe, infatti, laddove si accrediti un certo tipo di lettura della norma mettere in seria discussione gli elementi tipologici delle società di persone e della società a responsabilità limitata, escludendo i soci da un loro coinvolgimento più o meno esteso nella gestione. Si tratta, per quanto concerne la società a responsabilità limitata, di coordinare la nuova disposizione, soprattutto, con l’art. 2479, comma 1, c.c. (che consente ai soci di partecipare alla gestione) e con l’art. 2468, comma 3, c.c. (attraverso cui è [continua ..]
Si tratta ora di esaminare il contenuto del più volte citato comma 2 dell’art. 2086 c.c. al fine di porne in evidenza le novità, invero, non rilevanti [38] e le conseguenti implicazioni. Un primo dato letterale che emerge è l’apparente disconnessione tra gli assetti organizzativi ed i principi di corretta amministrazione. All’indomani della riforma del diritto societario del 2003 mi era parso, tra i primi [39], di poter affermare che il catalogo degli obblighi di carattere generale degli amministratori di società per azioni si fosse ampliato consistentemente e che tra questi assumesse un ruolo preponderante quello della corretta amministrazione, seppur collocato in un contesto non del tutto felice ossia nell’art. 2403 c.c. tra i doveri di vigilanza del collegio sindacale. Osservavo, inoltre, come il principio di corretta amministrazione, da un lato, consentisse al criterio della diligenza di tornare ad essere unicamente il metro di valutazione del comportamento degli amministratori e non, invece, un obbligo autonomo e, dall’altro, costituisse un principio generale pienamente idoneo a descrivere e tipizzare il contenuto di una prestazione. Rilevavo, ancora, che i principi di corretta amministrazione trovavano una loro specifica, esplicita e significativa declinazione – proprio ai sensi del citato art. 2403, comma 1, c.c. – negli obblighi concernenti la creazione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Le conclusioni a cui ero pervenuto hanno impiegato tempo per affermarsi, per essere metabolizzate. A distanza di qualche anno dal lavoro monografico citato vi era ancora chi nel catalogare gli obblighi degli amministratori restava ancorato alla diligenza, senza nemmeno dar conto dell’obbligo di corretta amministrazione, vi era chi riteneva che tale obbligo costituisse un’ipostatizzazione della categoria civilistica della diligenza professionale e chi, infine, sosteneva che l’obbligo della corretta amministrazione e il correlato obbligo degli assetti adeguati fosse in realtà già implicito nella funzione di amministrare una società [40]. Oggi mi pare che nessuno più dubiti della centralità dei principi di corretta amministrazione. Può destare, dunque, di primo acchito sorpresa il fatto che nel nuovo art. 2086, comma 2, c.c. non vi sia più – trattandosi di [continua ..]