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L'azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. - 1. L'opposizione a decreto ingiuntivo: cenno - 2. L'azione di accertamento negativo - 3. Il procedimento sommario di cognizione - 4. L'accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative in materia bancaria - 5. Gli oneri di allegazione e prova nel contenzioso bancario: la consulenza tecnica d'ufficio - 6. Oneri di allegazione e prova nell'eccezione di illegittimità del c.d. ius variandi
Ricollegandomi alla successiva relazione in tema di art. 117 TUB e nullità nei contratti bancari, ritengo di poter affermare con un certo grado di generalizzazione che ogni addebito in conto corrente e quindi ogni partita debitoria regolata in conto a carico del correntista deve essere richiesta al medesimo dalla banca solo ove legittima e fondata su una valida ed efficace clausola contrattuale, oggetto di specifica pattuizione (es. interessi ultra-legali pattuiti e rispettosi del tasso soglia di usura, spese di gestione e tenuta del conto, anatocismo, giorni di valuta, commissioni di massimo scoperto, messa a disposizione delle somme, CIV ecc.); viceversa, se la clausola è nulla – eventualmente per contrasto con norme imperative – la stessa è priva di qualsivoglia efficacia giuridica ab origine e quindi priva di effetto il sottostante addebito in conto corrente, che dovrà essere ricalcolato e stornato dal CTU in base al quesito assegnato dal giudice (quod nullum est nullum producit effectuum), non potendo costituire un pagamento fornito di giusta causa dell’attribuzione patrimoniale ai sensi dell’ordinamento giuridico. Ne consegue che se il pagamento è eseguito sine causa, senza una valida ragione che giustifichi lo spostamento patrimoniale, il solvens, ovvero il correntista che ha pagato, ha diritto a ripetere l’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c. (“chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”). Dunque, nell’ambito di tale azione, valendo gli ordinari principi in tema di onere della prova, l’attore-correntista è tenuto prima ancora ad allegare e successivamente a provare i fatti costitutivi primari del proprio diritto alla ripetizione di indebito, dovendo fornire sia la prova del pagamento (di un debito inesistente o pagato in misura superiore al dovuto, per effetto di clausole illegittime) che la mancanza originaria o successiva di causa debendi. Molto spesso accade – data la genericità che spesso connota alcuni atti introduttivi nell’ambito del contenzioso bancario, salvo quanto innanzi si dirà sul valore integrativo della perizia – che la parte attrice non fornisca idonea allegazione delle proprie generiche affermazioni, pur spettando a lei l’onere probatorio ex art. 2697 c.c., trattandosi di causa di accertamento della nullità e di [continua ..]
Meno problemi a livello di oneri di allegazione e di prova pone invece il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui è la banca che agisce in via monitoria è convenuta-opposta ma attrice in senso sostanziale, dovendo allegare e provare tutte le sue pretese restitutorie una volta revocati gli affidamenti, in caso di andamento anomalo e sconfinante del conto (passaggio a sofferenza della posizione) o di superamento dei limiti del fido concesso. In tal caso si pone inoltre la nota problematica del “saldo zero” e la ormai consolidata acquisizione della giurisprudenza di merito e di legittimità secondo la quale la banca deve produrre – in caso di contestazione sulla prova del credito – tutti gli estratti conto dall’inizio sino alla fine del rapporto bancario, non essendo sufficiente la certificazione ex art. 50 TUB, che data l’eccezionalità rispetto al principio per cui “le scritture contabili fanno prova solo contro l’imprenditore” vale per la sola sede monitoria per cui è dettata).
Occorre fare a questo punto una distinzione tra l’azione di ripetizione di indebito oggettivo e l’azione di accertamento negativo (di non debenza di somme in base a clausole nulle ai sensi dell’art. 117 TUB), la cui actio finium regundorum è condivisibilmente tracciata dalla sentenza del Tribunale di Torino del 2.7.2015 (Est. Dott. Enrico Astuni), reperibile su www.ilcaso.it. Il punto di partenza della riflessione, a mio avviso, è dettato dalla nota Cass. SS.UU. n. 24418 del 2010, secondo la quale una vera ripetizione di somme si può avere solo in caso di rimesse solutorie in costanza di rapporto a partire dalla data della singola operazione, mentre la mera annotazione contabile e scritturale in costanza di rapporto non legittima la ripetizione, dato il chiaro disposto dell’art. 1823 comma 1 c.c. per cui “Il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto” letto in combinato disposto con gli artt. 1842-1843 c.c. in materia di apertura di credito in c.c. bancario. Dunque, soltanto a conto corrente chiuso e quindi revocato anche il rapporto di apertura di credito eventualmente insistente sul conto corrente, ove la banca abbia già esatto ed ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale a debito – nel computo del quale vi siano state anche somme addebitate per interessi e altre poste debitorie non dovute perché oggetto di clausola nulla ai sensi dell’art. 117 TUB – si potrà parlare di vera e propria ripetizione di indebito come condanna in favore del correntista alla restituzione di somme. Al contrario, se il conto corrente è ancora aperto, il cliente ha certamente titolo ed interesse a proporre un’azione di accertamento negativo intesa, ad ottenere l’accertamento e la dichiarazione di nullità ai sensi dell’art. 117 TUB, l’accertamento del quantum delle somme addebitate illegittimamente dalla banca ed infine ed è ciò che ne connota maggiormente il thema decidendum rispetto alla ripetizione di indebito – lo storno dell’annotazione contabile, con il ricalcolo del dare-avere, a seguito della depurazione del saldo dagli addebiti nulli (utilità processuale e sostanziale che soddisfa [continua ..]
Molto spesso accade che le azioni di accertamento negativo e/o di ripetizione di indebito vengano introdotte da parte del correntista con il procedimento sommario di cognizione ai sensi degli artt. 702 bis e seguenti c.c. Spesso parte ricorrente evidenzia la necessità di utilizzare la procedura sommaria ai fini della riduzione dei tempi processuali, trattandosi di istruttoria snella da concludersi in una o due udienze, con espletamento unicamente di una CTU, indipendentemente dalla complessità delle questioni giuridiche da trattare; in effetti, talvolta la giurisprudenza di merito ha riconosciuto l’ammissibilità e la compatibilità con il rito sommario di cognizione dello svolgimento della sola CTU tecnico-contabile, in assenza di deduzione di prove orali (interrogatorio formale e testimonianza) e comunque di formulazione di altre istanze istruttorie. In realtà, ad avviso di chi scrive e quando come spesso accade vi sia la costituzione in giudizio da parte della banca, si deve svolgere una trattazione ben più approfondita di quanto non consenta la cognizione sommaria, data l’esigenza per le parti di svolgere e puntualizzare le proprie difese e la necessità di risolvere questioni giuridiche complesse, dato l’elevato tecnicismo che connota i plurimi singoli aspetti giuridici del contenzioso bancario dedotti in giudizio. In tal senso, l’identificazione degli elementi della causa proposta con il rito sommario, commisurati al parametro della compatibilità con l’istruzione sommaria, deve necessariamente partire dal tenore letterale dell’art. 702 ter, terzo comma, c.p.c., ai sensi del quale il mutamento del rito va disposto quando richiedano un’istruzione non sommaria “le difese svolte dalle parti”: dal predetto dato testuale è legittimo inferire, come peraltro già indicato dalla giurisprudenza di merito, che l’oggetto della verifica non è limitata alle sole deduzioni istruttorie articolate dalle parti ma anche al complesso delle difese svolte o ancora alla pluralità di parti e quindi “anche le argomentazioni giuridiche che ciascuna parte adduce e finanche la dimensione soggettiva della controversia. In tale senso, il coinvolgimento, necessario e opportuno, di parti ulteriori rispetto a quelle originarie, può contribuire a rivelare la necessità di trattare la lite con il giudizio [continua ..]
Veniamo adesso alla questione dell’ammissibilità della diversa azione costituita dall’accertamento tecnico preventivo con finalità conciliative ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c. in ambito di contenzioso bancario. Dal punto di vista della ratio ed in astratto, ritengo che il legislatore abbia cercato di restringere l’accesso all’art. 696 bis alle sole controversie dove l’autentico nodo del contendere sia una quaestio facti e non una quaestio iuris, perché la consulenza tecnica è il mezzo istruttorio più adeguato a dirimere siffatte questioni, di cui l’esperto può conoscere (le parti, in tesi, sono divise sulla ricostruzione dei fatti dal punto di vista tecnico e fattuale e non sulle conseguenze giuridiche, essendo maggiormente prevedibile l’esito della causa di merito, ai fini della ricerca di una soluzione conciliativa). Al contrario, nell’ambito del contenzioso bancario, le parti sono divise nel caso di specie da valutazioni esattamente simmetriche e contrapposte in ordine a tutte le problematiche, in primo luogo giuridiche e poi anche in fatto (come spesso dimostrato dal richiamo omnicomprensivo di parte ricorrente a tutti i principi normativi e giurisprudenziali in materia bancaria, delle quali l’espletanda CTU contabile dovrebbe verificare il rispetto). La problematica si interseca con quella di una consulenza tecnica contabile che possa essere o meno percipiente o tout court valutativa, problematica che come innanzi si vedrà trova a mio parere risposta negativa. Nell’ambito dell’istituto in questione, il compito del CTU non è quello tipico del giudice di accertare l’esistenza o la misura e quindi l’an di un diritto soggettivo di natura personale – in specie, di natura restitutoria delle somme illegittimamente addebitate in conto o comunque dell’accertamento negativo del credito – come richiesto dalla parte ricorrente, ma soltanto quello di valutare economicamente i fatti giuridicamente non controversi tra le parti e quindi il quantum (verifica e misurazione di un danno economico). Invece, la decisione della causa bancaria risulta implicare la soluzione di questioni giuridiche complesse o l’accertamento di fatti che esulino dalle indagini di natura tecnica, in cui è controverso appunto non solo [continua ..]
Ma facciamo un passo indietro. È noto il brocardo in base al quale nel processo civile il giudice deve decidere “iuxta alligata et probata partium”, cioè sulla base delle allegazioni e delle prove fornite dalla parti nell’ambito delle barriere preclusive assertive ed istruttorie previste dall’art. 183 comma 6 numero 1, 2 e 3 c.p.c. Lasciando al successivo relatore le riflessioni più approfondite e vaste in ordine agli oneri probatori nell’ambito del contenzioso bancario, occorre adesso preliminarmente soffermarsi sull’antecedente logico e giuridico costituito dall’onere di allegazione. Come detto, l’elevato tecnicismo del contenzioso bancario e la specializzazione che lo connota, ma anche l’estrema “giuridicità” che lo caratterizza, sono alla base di scritti difensivi spesso piuttosto generici ed improntati a lunghe digressioni e ricostruzioni giurisprudenziali, poste a sostegno delle proprie tesi difensive. Ma in un sistema caratterizzato dall’ineludibile principio di iura novit curia, è evidente che le parti devono concentrarsi sul fondamentale onere di allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda e che dovranno essere oggetto degli oneri probatori in giudizio ai sensi dell’art. 2697 c.c., anche per consentire il contraddittorio e la difesa specifica e puntuale sui diversi aspetti in contenzioso da parte dell’istituto di credito evocato in giudizio. A ben vedere, non è un problema di nullità per genericità ed indeterminatezza dell’atto di citazione ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p.c., tale da fondare il potere di integrazione della domanda da parte del giudice, ma di assolvimento degli oneri di allegazioni e successivamente probatori, idoneo a determinare nel merito l’accoglimento o il rigetto, quindi la fondatezza o meno delle domande: infatti, a tal fine è sufficiente il riferimento quantomeno ai singoli contratti bancari oggetto di censura, ai diversi motivi di illegittimità delle pattuizioni per fondare la causa petendi (in fatto e in diritto) e le conclusioni, mentre il petitum è oggetto della richiesta di ricalcolo e di storno contabile spesso individuato a mezzo di una consulenza tecnica contabile o perizia di parte. Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 259/2013; Cass. SS.UU. n. 13902/2013) la consulenza [continua ..]