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1. Premessa - 2. La legge n. 108/1996, dopo l'interpretazione autentica dell'art. 1 della legge n. 24/2001 - 3. Verifica dell'usurarietà nei rapporti di conto corrente - 4. La sentenza della Corte di Cassazione 22 giugno 2016, n. 12965 - 5. L'esame sistematico del problema - 6. Conclusioni - Note
Come è noto, l’art. 1 della legge 7 marzo 1996, n. 108, ha modificato l’art. 644 c.p., stabilendo – tra l’altro – che: «Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da lire sei milioni a lire trenta milioni. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito». Al fine di dare attuazione a tale norma, il successivo art. 2 ha previsto che: «Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti da tale rilevazione, corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento, sono pubblicati senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale. (…) Il limite previsto dal terzo [continua ..]
Il d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito dalla legge 28 febbraio 2001, n. 24, aveva previsto – con norma di interpretazione autentica – che «Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento». Tale norma aveva negato – in conformità con le disposizioni vigenti negli altri Paesi europei – l’effetto sostanzialmente retroattivo che la legge n. 108/1996 aveva prodotto in conseguenza dell’interpretazione giurisprudenziale, stabilendo che il tasso di interesse originariamente legittimo non potesse divenire medio tempore usurario. In particolare, l’intervento del legislatore aveva avuto l’effetto di sterilizzare una pronuncia della Corte di Cassazione [3], che aveva affermato l’applicazione della legge n. 108/1996 anche ai rapporti di mutuo stipulati anteriormente all’entrata in vigore della medesima legge. In particolare, la Suprema Corte, nella citata sentenza, aveva precisato che – di fronte ad un rapporto fra cittadino e banca che non si era già concluso nel momento dell’entrata in vigore della legge antiusura – il giudice di merito non potesse escludere la rilevabilità d’ufficio della nullità della clausola del contratto relativa agli interessi solo perché la pattuizione era intervenuta in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 108/1996; al contrario, avrebbe dovuto verificare se detta nullità sussistesse o meno, correlando il tasso d’interesse convenuto alla nuova normativa. Nella citata sentenza, inoltre, venivano richiamati i principi enunciati dalla stessa Corte di Cassazione in altre due sentenze [4]. In particolare, nella prima si era affermato che «la pattuizione di interessi a tasso divenuto usurario a seguito della legge 108/1996 è nulla anche se compiuta in epoca antecedente all’entrata in vigore di detta legge»; questo perché, aggiungeva la Suprema Corte, «l’obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni [continua ..]
3.1. Premessa Come è noto, la verifica dell’eventuale usurarietà degli interessi applicati nei rapporti di conto corrente bancario viene effettuata avendo riguardo ad ogni singolo trimestre, attraverso la verifica dell’eventuale superamento del limite usurario, mediante raffronto tra il tasso effettivamente applicato e le soglie rilevate trimestralmente. Per la determinazione delle soglie, la Banca d’Italia ha diramato “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura”, che – nel corso del tempo – hanno subito significativi cambiamenti e innescato un notevole disorientamento interpretativo. 3.2. Le istruzioni della Banca d’Italia 3.2.1. La versione originaria La Banca d’Italia, nella versione originaria (rectius, nella versione poi modificata) delle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” (2006) [7], aveva previsto quanto segue: «La commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del T.E.G. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali. Tale commissione nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento. Il calcolo della percentuale della commissione di massimo scoperto va effettuato, per ogni singola posizione rientrante nelle Categorie 1, 2 e 5, rapportando l’importo della commissione effettivamente percepita all’ammontare del massimo scoperto sul quale è stata applicata. Tale commissione è strutturalmente connessa alle sole operazioni di finanziamento per le quali l’utilizzo del credito avviene in modo variabile, sul presupposto tecnico che esista uno “scoperto di conto”. Pertanto, analoghe commissioni applicate ad altre categorie di finanziamento andranno incluse nel calcolo del T.E.G. In occasione di passaggi a debito di conti non affidati la commissione non è oggetto di rilevazione [continua ..]
La Suprema Corte, con la già citata sentenza [28], ha preso posizione sul punto affermando che la commissione di massimo scoperto, applicata fino all’entrata in vigore dell’art. 2-bis del d.l. n. 185/2008, deve ritenersi in thesi legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il T.E.G.M. – dal 1997 al dicembre del 2009 – sulla base delle istruzioni diramate dalla Banca d’Italia, non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario, dato atto che ciò è avvenuto solo dal 1 gennaio 2010, nelle rilevazioni trimestrali del T.E.G.M. Ne consegue che l’art. 2-bis del d.l. n. 185/2008, introdotto con la legge di conversione n. 2/2009, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 3, c.p., bensì disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa disciplina anche regolamentare (richiamata dall’art. 644, comma 4, c.p.) tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, derivandone che – per i rapporti bancari esauritisi prima del 1° gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante – non debba tenersi conto delle C.M.S. applicate dalla banca ed invece essendo tenuto il giudice a procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso-soglia usurario. La Corte di Cassazione ha inoltre aggiunto che l’art. 2-bis della legge n. 2/2009, disciplinando la materia delle commissioni di massimo scoperto, pure omettendo ogni definizione più puntuale delle stesse, ha effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa. A tale orientamento si è subito allineata la giurisprudenza di merito [29], affermando che solo con la promulgazione della legge di conversione n. 2/2009 la commissione di massimo scoperto (ma solo a far data dal 1° gennaio 2010) “entra”, quale [continua ..]
5.1. La natura giuridica dei decreti del Ministero del Tesoro (ora Ministero dell’Economia e delle Finanze) Nell’ordinamento giuridico italiano, il decreto ministeriale è un atto amministrativo emanato da un ministro della Repubblica Italiana, nell’ambito delle materie di competenza del suo dicastero. Esso non ha forza di legge e, nel sistema delle fonti del diritto, riveste carattere di fonte normativa secondaria soltanto qualora sia qualificato come regolamento. È sempre prescritto dalla legge, che – dopo aver delineato i principi fondamentali di una data materia – ne affida l’esatta definizione tecnica ed attuazione al ministro competente, il quale la realizza con proprio decreto [30]. Il decreto ministeriale è di solito generale e astratto, in quanto pone norme tecniche di dettaglio (o generiche, ma relative ad uno specifico argomento), finalizzate all’attuazione di una data norma di legge. Viene normalmente operata una distinzione fra decreti di natura regolamentare e decreti di natura non regolamentare. Per quanto di interesse, i decreti di natura non regolamentare – a differenza dei decreti legislativi – non si inquadrano tra le fonti tipiche del diritto, non producono l’effetto iura novit curia, e vincolano non tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico ma solo alcuni destinatari determinati. Tuttavia, non è possibile ricondurre questi provvedimenti ad una unica tipologia di atti: vengono in prevalenza utilizzati quando il legislatore deve integrare la previsione normativa con elementi contingenti o tecnici che richiedono una frequente rimodulazione della disciplina e, pertanto, correttamente non rinvia ad organi latamente politici ma ad organi amministrativi. È questo l’ambito di tutti i provvedimenti amministrativi generali, di contenuto non normativo, quali i provvedimenti di determinazione di aliquote, i provvedimenti di fissazione dei prezzi, i provvedimenti di contingentamento della produzione economica o agricola, i piani urbanistici. In questa categoria rientrano senza dubbio anche i decreti del Ministero dell’economia e delle finanze, nei quali vengono indicati i tassi soglia usurari, riferiti a diverse categorie di operazioni finanziarie. 5.2. Le conseguenze [continua ..]
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, possono essere tratte le seguenti conclusioni: il T.E.G.M. oggetto di rilevazione da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con la Banca d’Italia, non può essere assunto a riferimento, in quanto non coerente con le indicazioni della legge n. 108/1996; i decreti emanati dal Ministero dell’economia e delle finanze sino a tutto il 2009 presentano, dunque, un vizio di annullabilità; qualunque interessato può chiedere al Ministero dell’Economia e delle Finanze di revocare o sanare, in autotutela, tali decreti; in alternativa, qualunque interessato può adire il giudice amministrativo per ottenere la dichiarazione di illegittimità; infine, qualunque interessato chiederne al giudice la disapplicazione, nell’ambito di un giudizio civile o penale; in ogni caso, il giudice – civile e penale – può disapplicarli d’ufficio. Rimane da chiedersi, ed è ciò che viene fatto nella citata sentenza della Suprema Corte [36], se – per il periodo antecedente al 2010 – la commissione di massimo scoperto possa formare, alternativamente, oggetto di verifica dell’eventuale usurarietà e soprattutto se un’eventuale sproporzione nella sua dimensione applicativa possa rilevare sul piano sia civilistico sia penale. Tuttavia, anche se la commissione di massimo scoperto mediamente applicata ha formato oggetto, a partire dal 2005, di rilevazione e di pubblicazione, non pare che la stessa possa essere assunta a riferimento ai fini dell’art. 644, comma 1, c.p., giacché – a norma dell’art. 2, comma 3, legge n. 108/1996 – «Il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso»; laddove il comma 1 dello stesso articolo stabilisce che «Il Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche [continua ..]