<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza</p>
Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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Principi di base e best practices dell'esame critico dei bilanci di imprese in crisi o default conclamato; cenni sulle sintomatologie e appostazioni critiche spesso ricorrenti; valutazione dello stato delle scritture contabili sottostanti ai bilanci (di Luciano M. Quattrocchi, Professore Aggregato di Diritto Commerciale – Università di Torino Bianca M. Omegna, Dottore Commercialista in Torino)


Gli autori, alla luce delle novità introdotte dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza, approfondiscono il concetto di crisi – del quale, all’art. 2, il Codice fornisce una definizione –, evidenziandone, in primo luogo, le differenze con i concetti di continuità aziendale e di insolvenza. Oggetto di successiva trattazione sono gli indicatori della crisi di cui all’art. 13 c.c.i.: l’elaborato descrive il modello – ovvero la sequenza gerarchica – adottato nella bozza dei parametri – predisposta dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili – che permettono di presumere ragionevolmente lo stato di crisi e, in ultimo, accenna ai c.d. indici personalizzati. Con riferimento al concetto di continuità aziendale, gli autori ne esaminano il contesto normativo di riferimento e la posizione, più recente, della giurisprudenza. Infine, il saggio approfondisce il documento “Guida semplice alle nuove regole europee in materia di default”, elaborato in vista delle nuove regole in materia di default di cui all’art. 178 del Regolamento (UE) n. 575/2013

The authors, in light of the innovations introduced by the Crisis and Insolvency Code, examine in depth the concept of crisis – of which, in article 2, the Code provides a definition –, highlighting, first of all, the differences with the notions of going concern and insolvency. Subject of subsequent discussion are the crisis indices referred to in article 13 c.c.i.: the essay describes the model – that is, the hierarchical sequence – adopted in the draft parameters – prepared by the Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili – which allow to reasonably presume the state of crisis and, finally, mentions the so-called personalized indices. With reference to the notion of going concern, the authors examine the regulatory context and the more recent stance of the jurisprudence. Finally, the essay analyzes the document “Guida semplice alle nuove regole europee in materia di default”, drawn up in view of the new default rules pursuant to article 178 of Regulation (EU) No. 575/2013.

Keywords: business crisis and insolvency – crisis indices – banking system and default.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La dicotomia insolvenza e crisi d’impresa - 3. La riforma delle procedure concorsuali. Gli indicatori della crisi - 3.1. Il dato normativo - 4. La bozza dei parametri, predisposta dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili - 4.1. Gli indici personalizzati - 4.2. Le simulazioni - 5. La continuità aziendale - 5.1. Il contesto di riferimento - 5.2. La posizione della giurisprudenza - 5.3. Il sistema bancario: la guida semplice alle nuove regole europee in materia di default


1. Premessa

Il legislatore della Riforma, nell’ambito del Codice della crisi d’impresa, ha previsto due step per far emergere con anticipo la crisi: • uno interno, nel quale l’organo di controllo e i revisori allertano l’organo amministrativo; • uno esterno, nel quale viene coinvolto l’organismo di composizione della crisi. Per intercettare tempestivamente la crisi, è necessario – infatti – che qualcuno la faccia emergere fin dal suo stato embrionale. Viene, quindi, posto a carico dell’organo di controllo societario e del revisore contabile l’obbligo di segnalare situazioni di difficoltà e di squilibrio e­co­nomico finanziario, prevedendo conseguenze significative in caso di omissione di tale adempimento. La corretta e puntuale segnalazione, infatti, permette agli organi di controllo di evitare la chiamata in causa quali responsabili solidali con gli amministratori del dissesto aziendale. Al fine di rendere meno arbitraria la rilevazione dell’insorgenza della crisi, sono stati previsti indicatori oggettivi. In particolare, l’art. 13 del Codice della crisi definisce come indicatori della crisi gli squilibri di carattere economico-finanziario-patrimoniale rilevabili tramite specifici indici di bilancio, in base ai quali emerga la non sostenibilità dei debiti per un arco temporale futuro di almeno sei mesi. L’elaborazione tecnica di tali indici è stata demandata al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili, che deve predisporli (rectius aggiornarli) con cadenza triennale, fermo restando che l’impresa che li ritenesse non applicabili alla propria realtà aziendale, facendolo emergere nella nota integrativa, può elaborare propri indici, la cui adeguatezza deve essere attestata da un professionista indipendente. L’organo di controllo societario e i revisori contabili, sulla base di indici di bilancio elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti ed E­sperti contabili (o propri dell’impresa), deve – quindi – verificare l’insor­genza della crisi aziendale e immediatamente segnalare tale stato all’impresa (in primis ai suoi organi amministrativi) tramite comunicazione a mezzo posta elettronica certificata o altro strumento che permetta di riscontrarne la ricezione, assegnando un lasso temporale di trenta giorni per [continua ..]


2. La dicotomia insolvenza e crisi d’impresa

Come è noto, l’art. 5, comma 2, legge fall., si limita a definire lo stato di insolvenza, precisando che esso “si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. Per altro verso, l’art. 160, comma 3, legge fall., stabilisce che “Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”. Il rapporto fra crisi e insolvenza è – quindi – da genere a specie e ha natura statica. La legge delega di riforma delle procedure concorsuali (legge 19 ottobre 2017 n. 155), all’art. 2, comma 1, si proponeva – fra i principi – di “c) introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l’attuale nozione di insolvenza”. Si tratta, quindi, di una nozione dinamica: la crisi è uno “stato” che può risolversi, rimanere tale o degradare in insolvenza. In particolare, l’art. 2 del Codice della crisi e dell’insolvenza definisce “crisi” lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insol­ven­za del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate; e “insolvenza” lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;


3. La riforma delle procedure concorsuali. Gli indicatori della crisi

3.1. Il dato normativo

L’art. 13, comma 1, del Codice della crisi e dell’insolvenza stabilisce che “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”. In particolare, l’art. 24 stabilisce che “Ai fini dell’applicazione delle misure premiali di cui all’articolo 25, l’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della crisi non è tempestiva se egli propone una domanda di accesso ad una delle procedure regolate dal presente codice oltre il termine di sei mesi, ovvero l’istanza di cui all’articolo 19 oltre il temine di tre mesi, a decorrere da quando si verifica, alternativamente: a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) il superamento, nel­l’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati ai sensi dell’articolo 13, commi 2 e 3”. Il successivo comma 2 (dell’art. 13) aggiunge: “Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le [continua ..]


4. La bozza dei parametri, predisposta dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili

Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ha messo a punto la bozza dei parametri che permettono una “ragionevole presunzione dello stato di crisi”. La scelta fatta nell’elaborazione del modello è stata quella di minimizzare il numero di falsi positivi, ammettendo la possibilità di un maggior numero di falsi negativi; dove per falsi positivi devono essere intesi i rischi di rendere oggetto di segnalazione imprese di cui è prevista un’insolvenza che poi non si verificherà, mentre per falsi negativi i rischi sono quelli di imprese di cui non è diagnosticata la crisi ma che invece diventeranno insolventi. Il meccanismo messo a punto contiene una sequenza gerarchica che prevede 7 parametri da prendere in considerazione: la crisi è innanzitutto ipotizzabile quando il patrimonio netto diventa negativo per effetto di perdite di esercizio, anche cumulate e rappresenta causa di scioglimento delle società di capitali. Indipendentemente dalla situazione finanziaria, questa circostanza rappresenta – tra l’altro – un pregiudizio alla continuità aziendale, fino a quando le perdite non sono state ripianate e il capitale sociale riportato almeno al limite legale. Il fatto che il patrimonio netto sia diventato negativo è superabile con una ricapitalizzazione; è quindi ammessa la prova contraria dell’assunzione di provvedimenti di ricostituzione del patrimonio al minimo legale. a fronte di un patrimonio netto positivo costituisce – in ogni caso – indice di crisi che trova applicazione per tutte le imprese la presenza di un D.S.C.R. (Debt service coverage ratio) a 6 mesi inferiore a 1. Il D.S.C.R. è calcolato come rapporto tra i flussi di cassa liberi previsti nei 6 mesi successivi che sono disponibili per il rimborso dei debiti previsti nello stesso arco temporale. Valori di questo indice superiori a 1, rendono evidente la capacità prospettica di sostenibilità dei debiti su un orizzonte di 6 mesi, valori inferiori a 1 la relativa incapacità. se il patrimonio netto è positivo e se il D.S.C.R. non è disponibile oppure è ritenuto non sufficientemente affidabile per la inadeguata qualità dei dati prognostici – proseguono i dottori commercialisti – si applicano 5 indici, con soglie diverse a seconda del settore di attività: ○   indice di [continua ..]


4.1. Gli indici personalizzati

Il Codice della crisi permette alle imprese che non intendono adottare gli indicatori della crisi “standard” messi a punto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili di predisporre indici personalizzati, maggiormente adeguati alle proprie caratteristiche. L’obiettivo è di evitare il moltiplicarsi dei cosiddetti falsi positivi, ossia casi in cui la procedura di allerta fatta scattare dagli indicatori non riguarda imprese in reale difficoltà. Proprio per tale motivo sono anche previsti specifici indicatori per le start-up innovative, per le Pmi innovative, per le società in liquidazione e per quelle costituite da meno di due anni. L’impresa che opta per gli indici personalizzati deve però farne menzione nella nota integrativa al bilancio di esercizio, specificando le ragioni che hanno motivato la scelta e illustrando gli indici che sono ritenuti idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza dello stato di crisi. È inoltre necessaria l’attestazione rilasciata da un professionista indipendente, che deve essere allegata alla nota integrativa. Il problema che la formulazione della norma lascia aperto è rappresentato dal fatto che la dichiarazione rilasciata dal professionista indipendente produce effetti solo dall’esercizio successivo. Non è quindi chiaro come sarà possibile derogare a partire dal 15 agosto del 2020 all’applicazione degli indicatori “standard” della crisi. Per farlo i prossimi bilanci dovrebbero già contenere gli indici personalizzati, circostanza non certa poiché prima devono essere approvati in via definitiva gli indicatori standard.


4.2. Le simulazioni

Secondo l’analisi condotta dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti di concerto con Cerved, gli indicatori della crisi elaborati dal Consiglio Nazionale sono in grado di intercettare circa il 50% di imprese destinate al­l’insolvenza rispetto al totale di quelle oggetto di segnalazione. L’analisi si è concentrata su un campione di circa 568mila bilanci relativi al periodo 2010-2015, alla luce di oltre 18.000 eventi di insolvenza osservati nel periodo 2011-2018. Sono state classificate come insolventi le imprese interessate almeno da un evento (fallimento, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) nei successivi 36 mesi. L’esito finale è quello di un cluster circoscritto di situazioni a rischio di insolvenza, per le quali si accendono tutti e cinque gli alert, pari allo 0,69% delle osservazioni (3.900). Poco più del 50%, poi, delle imprese segnalate sono entrate in uno stato di insolvenza nei tre anni successivi. Vi è, tuttavia, una significativa differenza nel confronto tra i diversi tassi di default: se quello del campione complessivo, i 568mila bilanci, è del 3,1%, quello del più circoscritto cluster delle aziende segnalate supera il 50%. In altre parole, i casi segnalati mostrano una rischiosità di oltre 16 volte più elevata rispetto a quella riscontrabile sui non segnalati e in questo senso, tenuto conto del fatto che obiettivo delle misure di allerta è proprio quello di scongiurare il più possibile il fallimento con relativa distruzione di ricchezza, gli indici sembrano dare una buona prova di efficacia. Inoltre, i segnali riescono a intercettare l’11,1% del totale delle insolvenze, a fronte di una quota molto ridotta di imprese in bonis erroneamente segnalate come a rischio; è il caso dei falsi positivi, il cui rischio, però, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha inteso evitare (magari correndo consapevolmente il pericolo di qualche falso negativo in più). In ogni caso, il 44% dei casi di falsi positivi non è più risultato attivo entro pochi anni, contro un percentuale fisiologica di non più attivi del 12,4% della parte rimanente del campione non segnalato. Infine, quanto alla dimensione delle imprese segnalate, i dati [continua ..]


5. La continuità aziendale

5.1. Il contesto di riferimento

Come si è detto, l’imprenditore collettivo deve dotarsi di strumenti atti a consentirgli un efficace monitoraggio del rischio di perdita della continuità aziendale: vale a dire adeguati assetti organizzativi, con le caratteristiche previste con l’introduzione del comma 2 dell’art. 2086 c.c., il quale prevede ora che “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. L’obiettivo è far evolvere le imprese da un’impostazione in cui le valutazioni sono compiute una sola volta all’anno, in occasione dell’approvazione del bilan­cio di esercizio, verso un sistema che prevede un monitoraggio costante. Per ottenere tale risultato è necessario allestire presidi volti alla rilevazione e alla misurazione di indicatori di continuità aziendale, che vanno al di là di quelli espressamente previsti dall’art. 13 del Codice della crisi e da quelli la cui elaborazione è stata demandata al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. È inoltre fondamentale un percorso razionale e documentabile di rilevazioni e misurazioni. In particolare, il tema della continuità aziendale è stato preso in considerazione dal principio di revisione Isa 570, che introduce alcune categorie logiche di eventi e circostanze, i quali – se verificati – possono far sorgere dubbi sul permanere del presupposto della continuità aziendale. Il principio Isa 570 individua, ad esempio, eventi finanziari, gestionali o normativi, tali – da soli o presi congiuntamente – da essere considerati rilevanti ai fini delle procedure di valutazione del rischio. Occorre dunque che gli amministratori estraggano un elenco – la cui dimensione deve essere calibrata in funzione della dimensione e della complessità aziendale – di variabili rilevanti, selezionate tra gli esempi dell’Isa 570 ovvero individuate ad [continua ..]


5.2. La posizione della giurisprudenza

Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 6 febbraio 2019, ha affermato che l’omessa rilevazione della perdita della continuità aziendale – ovvero della situazione di incapacità di generare un flusso di entrate e di uscite tale da rendere prevedibile il prosieguo dell’attività aziendale per almeno un anno – può costituire una grave irregolarità suscettibile di essere denunciata al Tribunale ex art. 2409 c.c. Il Tribunale rammenta, al proposito, che al fine di intercettare l’eventuale perdita di continuità aziendale, sancita dall’art. 2423-bis c.c., gli amministratori e i sindaci devono svolgere regolari verifiche circa la sua permanenza. Amministratori e sindaci – aggiunge il provvedimento in esame – sono chiamati a svolgere regolari verifiche circa la relativa sussistenza e ciò non solo nel momento della preparazione del bilancio, ma anche in corso di esercizio, qualora emerga un evento tale da far seriamente dubitare della permanenza del requisito della continuità aziendale (cfr. Trib. Milano, 6 luglio 2016). Pertanto, l’omesso accertamento della perdita di continuità aziendale rileva non solo per i riflessi sulla redazione del bilancio secondo criteri di liquidazione, ma si pone anche per il fatto che il prosieguo dell’attività aziendale può integrare una violazione grave e produttiva di danni, rilevante ai sensi dell’art. 2409 c.c. Sul tema della continuità aziendale si è successivamente pronunciato il Tri­bunale di Milano (Trib. Milano, 22 febbraio 2019, n. 1784), il quale ha affermato che il venir meno della stessa non integra una causa legale di scioglimento della società, bensì piuttosto – a seconda che sia o meno reversibile – una situazione di crisi o di insolvenza, che costituisce uno dei più rilevanti e ricorrenti presupposti per dare avvio ad una delle procedure regolate della crisi o dell’insolvenza previste dal Codice della crisi d’impresa. Sul piano contabile, la conseguenza della perdita della continuità aziendale è che i principi di redazione del bilancio non sono più quelli di cui all’art. 2426 c.c. ma quelli imposti dalla prospettiva liquidatoria.


5.3. Il sistema bancario: la guida semplice alle nuove regole europee in materia di default