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1. Premessa - 2. La società semplice - 3. Il patto di famiglia - 4. L'utilizzo del trust nel diritto societario - 4.1. Il trust intestatario di partecipazioni. I patti di sindacato - 4.2. La gestione unitaria della holding di famiglia: il family trust - 5. Le prospettive. Il disegno di legge n. AS 1151/2019 - 5.1. Premessa - 5.2. Gli accordi tra nubendi, coniugi e soggetti uniti civilmente, volti a regolamentare i rapporti personali e quelli patrimoniali - 5.3. I diritti riservati ai legittimari e ai patti successori - 5.4. La disciplina di nuovo schemi contrattuali (il trust) - NOTE
La gestione del patrimonio familiare, soprattutto nell’ambito della “successione d’impresa”, rappresenta una questione di estremo interesse. Ciò è testimoniato dal numero di sentenze, anche di legittimità, che affrontano problemi che si intersecano fra il diritto successorio e il diritto d’impresa. Da ultimo, la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che «L’azienda ereditaria deve ritenersi oggetto di comunione se vi sia la finalità del solo godimento in comune secondo la sua consistenza al momento dell’apertura della successione. Tuttavia, se viene esercitata per finalità speculative con nuovi conferimenti in vista di ulteriori utili, sulla base dell’incremento degli elementi aziendali, può verificarsi che: o l’impresa è esercitata da tutti i coeredi, e in tal caso l’originaria comunione incidentale si trasforma in una società (sia pure irregolare o di fatto); ovvero l’impresa viene esercitata da uno o più eredi, e in tal caso la comunione incidentale è limitata all’azienda così come relitta dal “de cuius”, con gli elementi esistenti all’apertura della successione, mentre l’impresa esercitata dal singolo o da parte dei coeredi è riferibile soltanto ad esso o ad essi con gli utili e le perdite relativi» (Cass. 11 Aprile 2019, n. 10188, in IlCaso.it). Gli strumenti societari e d’impresa che possono essere utilizzati per la gestione del patrimonio familiare coprono, almeno in teoria, tutto lo spettro delle forme giuridiche previste dal nostro ordinamento. Tuttavia, quelle più utilizzate si riducono alla società semplice, al patto di famiglia e al trust societario. Quanto al primo strumento, sulla base delle considerazioni svolte nell’ambito di due Studi elaborati dal Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 69/2016/I e Studio n. 73/2016/I), sarebbe legittima la costituzione di società semplici “cassaforte”, il cui oggetto sociale consista nel semplice godimento dei beni (mobili e immobili) di cui la società sia titolare. Tale conclusione aveva già trovato conferma nella normativa tributaria che, a più riprese, ha legittimato – anzi, incentivato – la trasformazione delle società commerciali di “mero godimento” in società semplici. Il [continua ..]
Come è noto, l’art. 2248 c.c. esclude la possibilità di utilizzo dello strumento societario funzionale al “solo” godimento collettivo, e cioè la sua costituzione o il suo mantenimento «al solo scopo del godimento di una o più cose»; laddove, per “solo scopo di godimento” si deve intendere l’esercizio finale – e non strumentale alla ricerca di ulteriori utilità – delle facoltà d’uso e di disposizione di un diritto cointestato, di natura reale o personale. Nel contesto codicistico, lo strumento societario – in senso lato – può, dunque, essere utilizzato soltanto per l’esercizio collettivo di un’attività economica speculativa, commerciale o non; con la conseguenza che un contratto di società semplice finalizzata al solo godimento collettivo non è soggetta al diritto della società semplice, bensì a quella della comunione. Ma tale conclusione non può considerarsi certa se si considera che nella Relazione al Re, predisposta in occasione della promulgazione del Codice Civile, il compito assegnato alla società semplice non era indicato in positivo come quello di sviluppare (esclusivamente) un’attività agricola, ma veniva espressa l’idea che, esclusa l’attività commerciale, la fattispecie di cui all’art. 2251 c.c. «sostituiva la società civile». È, inoltre, facilmente intuibile che il “(mero) godimento” può essere circoscritto ad una fase dell’attività “societaria”, mentre la finalità – dichiarata, ancor prima che attuata – può essere quella di generare utilità diverse ed ulteriori. Ed è evidente che se il godimento (iniziale) è preordinato ad una successiva attività imprenditoriale, si esorbita dal mero godimento e il contratto deve essere qualificato – optimo iure – di società. Da tale ricostruzione discende che l’utilizzo della società semplice come strumento di semplice intestazione di uno o più immobili o di quote societarie, senza la previsione di un’attività ulteriore di natura imprenditoriale (anche soltanto programmatica), esorbita dall’ambito societario. Pertanto, l’utilizzo abusivo della società semplice è relegato [continua ..]
Come è noto, la legge 14 febbraio 2006, n. 55, ha introdotto la possibilità per l’imprenditore di trasferire la propria azienda (anche sotto forma di partecipazione societaria) al coniuge e/o ad uno o più discendenti, nei limiti e nel rispetto delle norme societarie e di quelle sull’impresa familiare. Si tratta, quindi, di un contratto inter vivos – da stipularsi nella forma dell’atto pubblico, a pena di nullità – che comporta un trasferimento immediato della proprietà. All’atto devono prendere parte il coniuge e tutti coloro che sarebbero chiamati all’eredità, se la successione dell’imprenditore si aprisse al momento dell’atto, e l’attribuzione dell’azienda fa sorgere in capo al beneficiario l’obbligo di liquidare agli altri legittimari – in denaro o in natura – il corrispondente valore della legittima, salvo che la quota di legittima dei non assegnatari sia coperta dall’attribuzione di altri beni del disponente o che gli aventi diritto rinuncino espressamente. Lo scopo del patto di famiglia è di consentire il trasferimento della azienda di famiglia alle future generazioni, nella prospettiva della continuità, evitando i problemi potenzialmente scaturenti da una successione: in particolare, l’azione di riduzione concessa ai legittimari o loro eredi o aventi causa, diretta a reintegrare le quote a essi spettanti, che siano state lese per effetto di donazioni o disposizioni testamentarie. Prima dell’introduzione del patto di famiglia, le ipotesi possibili che venivano suggerite all’imprenditore ancora in vita che volesse preservare l’azienda erano quelle della donazione, della vendita e, al limite, del trust. Questi istituti si erano però appalesati non idonei al raggiungimento dello scopo, in quanto risultava difficile rispettare il diritto alle quote di legittima degli eredi e non veniva fissato il valore del bene donato al momento della stipula dell’atto. Tali contratti, pertanto erano (e sono) esposti all’azione di riduzione. La spinta all’introduzione del nuovo istituto fu offerta dalle raccomandazioni e dagli obblighi imposti a livello europeo: in primo luogo dalla raccomandazione della Commissione europea n. 94/1069, con cui si richiedeva l’adozione di misure idonee a facilitare il passaggio generazionale nelle piccole e [continua ..]
La prima possibilità di utilizzo del trust riguarda la gestione delle società di famiglia. In tale contesto, il trust può essere utilizzato per garantire l’unitarietà strategica nella gestione della società di famiglia, in sostituzione del patto di sindacato (voting trust), esposto al rischio di defezione di alcuni familiari. Più in particolare, con il termine voting trust si intendono gli accordi con i quali alcuni soci di una società costituiscono un trust con lo scopo di disciplinare l’esercizio del diritto di voto nelle assemblee e – a tale fine – trasferiscono al trust le loro partecipazioni: all’atto istitutivo del trust, contenente le norme alle quali il trustee dovrà adeguarsi nell’esercizio della propria funzione, segue l’atto di conferimento delle partecipazioni societarie in trust. Si attua in tal modo un vero e proprio spossessamento da parte dei soci delle loro partecipazioni che vengono trasferite al trustee, il quale dovrà esercitare i diritti relativi secondo le indicazioni contenute nell’atto istitutivo del trust e concordate dai disponenti. L’atto istitutivo potrà anche prevedere che le partecipazioni ad esso trasferite, alla cessazione del trust, vengano attribuite, invece che ai disponenti, a beneficiari predeterminati o, addirittura, individuati dal trustee in base a criteri predefiniti dal disponente [1]. Gli elementi principali del voting trust sono: l’emissione da parte deltrust e a favore dei disponenti di “trust certificate” relativi alle partecipazioni societarie conferite; la previsione che iltrustee nelle deliberazioni assembleari debba comportarsi secondo le prescrizioni dell’atto istitutivo del trust. Si potrebbe anche prevedere che il trustee debba, prima del compimento di determinate operazioni, chiedere il consenso di soggetti terzi, quali il guardiano; il diritto deltrustee di ricevere i dividendi spettanti alle partecipazioni conferite nel trust; il diritto deltrustee di esercitare la prelazione nel caso in cui uno dei soci disponenti intenda cedere il proprio “trust certificate”; la previsione di un termine di durata deltrust (obbligatorio per la maggior parte delle legislazioni statunitensi) e [continua ..]
Una seconda possibilità di utilizzo del trust concerne il passaggio generazionale dell’azienda di famiglia. Come è noto, infatti, il venir meno dell’imprenditore, con il subingresso di coeredi che non hanno necessariamente le stesse capacità imprenditoriali del fondatore e – spesso – neppure uniformità di vedute, è un momento di forte criticità per le sorti dell’impresa. Ne consegue che la gestione efficiente del trapasso generazionale è un’esigenza fortemente avvertita nel mondo imprenditoriale, tenuto anche conto del fatto che la maggior parte delle imprese italiane assume dimensioni medio-piccole e normalmente appartiene ad un unico nucleo familiare. L’impiego del trust nella programmazione dei passaggi generazionali si rileva, quindi, particolarmente efficace nel perseguire congiuntamente le seguenti esigenze [3]: tutela dell’integrità del patrimonio aziendale: tale esigenza è avvertita soprattutto in presenza di una molteplicità di coeredi con differenze sul piano delle capacità imprenditoriali, della propensione al rischio e degli interessi; tutela del patrimonio aziendale nei confronti di soggetti terzi o di componenti indesiderati della famiglia: l’imprenditore teme che soggetti terzi si avvicinino alla famiglia per appropriarsi di parte del patrimonio o che gli eredi cedano l’azienda ai concorrenti; scelta di chi tra i coeredi sarà il vero continuatore dell’impresa di famiglia: è particolarmente avvertita l’esigenza di affidare l’impresa ai successori che dimostrino di avere particolari capacità imprenditoriali; eventuale mantenimento del controllo da parte dell’imprenditore fino alla sua morte. In particolare, il trust può essere proficuamente utilizzato soprattutto nel passaggio generazionale di quote societarie di imprese (collettive) di matrice familiare: attraverso il trust il disponente (settlor) può disporre il trasferimento delle partecipazioni ai propri eredi, affidandone la gestione ad un soggetto di fiducia (trustee), il quale le amministra nell’interesse dei beneficiari. È, dunque, un utile strumento per assicurare un controllo unitario su una holding di famiglia e per tutelare in modo imparziale gli interessi sia dei familiari “attivi” (coloro che si [continua ..]
Il disegno di legge n. AS 1151/2019 reca una delega al Governo per la revisione ed integrazione del Codice Civile, e, nell’ambito dei princìpi e i criteri direttivi cui il Governo si dovrà attenere nell’esercizio della delega stessa, detta disposizioni di carattere ordinamentale concernenti diversi ambiti che – tra l’altro – riguardano: • gli accordi tra nubendi, coniugi e soggetti uniti civilmente, volti a regolamentare i rapporti personali e quelli patrimoniali; • la materia delle successioni, con particolare riguardo ai diritti riservati ai legittimari e ai patti successori; • la disciplina di nuovo schemi contrattuali (il trust).
In particolare, il disegno di legge delega interviene in riferimento ad un complesso di norme del Codice Civile, quali quelle contenute nei capi IV, V e VI del titolo VI del libro primo, incise dall’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76, (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che ha introdotto, all’art. 1, commi da 50 a 64, il contratto di convivenza, gli accordi oggetto della previsione del disegno di legge sono destinati ad intervenire nel diverso ambito dei rapporti matrimoniali e delle unioni civili, atteggiandosi come accordi cosiddetti prematrimoniali o in costanza di matrimonio o unione civile. Configurati come accordi in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, essi verrebbero a colmare una lacuna del nostro ordinamento, nel quale tuttora tali tipologie di accordi, sia patrimoniali che personali, sono reputati nulli, rispetto invece ad altri ordinamenti, nei quali sono ammessi e regolamentati. Si tratta di una lacuna particolarmente avvertita nel sentire sociale, come dimostrano i ripetuti interventi giurisprudenziali chiamati ad occuparsi di accordi stipulati dai nubendi o dai coniugi per l’eventuale futura crisi del rapporto o dai secondi per regolare gli effetti, in specie patrimoniali, ma non solo, della crisi in atto. Come è noto, la riforma operata con il d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto procedimenti alternativi per la separazione e lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio (e relative modifiche alle condizioni di separazione o divorzio), consentendo ai coniugi che intendano raggiungere una soluzione consensuale di ricorrere a convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte. È altresì data la possibilità di presentare richiesta congiunta all’ufficiale dello stato civile, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, a condizione che l’atto non contenga patti di trasferimento patrimoniale e che la coppia non abbia figli non pienamente autosufficienti. In presenza di trasferimenti patrimoniali o di figli a carico della coppia, l’unica alternativa al procedimento innanzi al tribunale rimane – dunque – la negoziazione assistita, la quale prevede un giudizio di omologazione sull’accordo concluso, soltanto in presenza di figli non [continua ..]
Ulteriori principi e criteri direttivi concernono la materia delle successioni. In particolare, si prevede di intervenire nell’ambito dei diritti riservati ai legittimari, di cui agli artt. 536 ss. c.c., nel senso di consentire la trasformazione della quota del patrimonio ereditario riservata ai legittimari in una quota del valore del patrimonio ereditario al momento dell’apertura della successione, garantita da privilegio speciale sugli immobili che ne fanno parte o da privilegio generale sui beni mobili che costituiscono l’asse ereditario in caso di mancanza di beni immobili. Sempre in materia di successioni, un ulteriore criterio di delega riguarda i patti successori: in particolare, si prevede la possibilità di stipulare patti sulle successioni future che consentano di devolvere specifici beni del patrimonio ereditario a determinati successori specificamente indicati, nonché di rinunciare irrevocabilmente, da parte di soggetti successibili, alla successione generale o a particolari beni, ferma restando l’inderogabilità della quota di riserva prevista dal Codice Civile. Si prevede altresì un criterio di delega relativo all’introduzione di misure di semplificazione ereditaria, in conformità al certificato successorio europeo. Da tempo è avvertita l’esigenza di riformare le norme di tutela dei legittimari, tanto è vero che già col d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, sono stati modificati gli artt. 561 e 563 c.c. L’intervento è risultato tuttavia inadeguato rispetto al fine perseguito – tuttora attuale – di agevolare la circolazione degli immobili di provenienza donativa, assoggettabili all’azione di riduzione e quindi di restituzione, e di favorire l’accesso al credito garantito da ipoteca su tali immobili. Il disegno di legge delega fissa principi e criteri direttivi volti alla trasformazione del l’attuale legittima in natura in cosiddetta legittima in valore: il relativo diritto è configurato come diritto di credito, tuttavia assistito da garanzia reale. Quest’ultima è una forma di tutela del credito che, per la sua estensione (vincolando con privilegio speciale l’intero compendio ereditario immobiliare e, in mancanza, con privilegio generale quello mobiliare) fornisce adeguata protezione ai legittimari lesi o pretermessi. Il [continua ..]
Si prevede altresì di introdurre nuovi schemi contrattuali, fra i quali il trust, da definire in modo che siano caratterizzati da una sufficiente tipizzazione sul piano sociale. È, infatti, mutato il quadro interno attuale rispetto a quello esistente quando venne ratificata in Italia la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, con la legge 16 ottobre 1989, n. 364, Convenzione entrata in vigore il 1° gennaio 1992. I trust cosiddetti interni negli ultimi anni hanno conosciuto ampia diffusione e sono ormai una realtà con la quale gli operatori giuridici si trovano quotidianamente a confrontarsi, con notevoli incertezze dovute al fatto che la legge regolatrice va necessariamente rinvenuta in ordinamenti stranieri. I principi ed i criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 1, lett. p), del disegno di legge delega rispondono all’esigenza di introdurre una disciplina interna sulla costituzione e sul funzionamento del trust, che vada oltre le isolate disposizioni di legge attualmente vigenti in materia fiscale, consentendo di superare sia i residui dubbi di ammissibilità dell’istituto sia quelli concernenti i suoi rapporti con l’art. 2645-ter c.c. La previsione del disegno di legge risponde altresì all’esigenza, di carattere più generale, di introdurre una disciplina sistematica – presente in altri ordinamenti europei – della fiducia e delle sue applicazioni contrattuali, che garantisca un’adeguata tutela dei beneficiari; disciplina sistematica assente nel Codice Civile, cui pure non sono estranee figure settoriali di negozi fiduciari.