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1. Introduzione - 2. Azioni esperibili e interesse ad agire - 3. Oneri assertivi e probatori ed eccezione di prescrizione della banca - 4. Forma dei contratti e nullità - 5. Usura - 6. Altre questioni usualmente affrontate dalla Corte d'Appello. - 7. Conclusione: la scelta dei modelli processuali - Note
Le questioni che oggi verranno trattate nella mia relazione, seppure nel limitato ambito della ricognizione della giurisprudenza della Corte d’Appello di Torino, inevitabilmente coincidono con quanto verrà più ampiamente indagato nelle prossime relazioni. Preliminarmente, ritengo indispensabile fornire – anche in ragione del ruolo da me rivestito – un forte caveat. Primo: gli orientamenti che trapeleranno dalla carrellata di pronunce che seguirà non devono far sorgere alcun affidamento per quanto attiene alla conservazione in futuro degli indirizzi attualmente manifestati dalla Corte, anche laddove se ne rilevino di particolarmente stabili. Ciò non perché non siano perseguite finalità di coerenza e prevedibilità delle decisioni, ma per una serie di fattori, di cui il più rilevante è senz’altro ravvisabile nel complesso rapporto tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di merito, di cui la corte d’appello è ultima istanza, rappresentando il delicato snodo tra fondate istanze innovative e necessaria conservazione della coerenza del sistema, in attuazione del principio nomofilattico. Nel continuo delicato bilanciarsi delle due finalità, il legislatore ha voluto privilegiare le esigenze di stabilità, certezza e prevedibilità delle decisioni: una scelta che, a maggior ragione in settori di forte rilievo economico come quello del contenzioso bancario, non può che trovare consenso, per i potenziali effetti in termini di affidabilità per gli operatori economici privati, nonché di deflazione dei giudizi e quindi di risparmio delle risorse pubbliche e razionale utilizzo delle risorse della giustizia. In tale ottica devono leggersi gli interventi che negli anni recenti hanno introdotto elementi di maggiore gerarchizzazione nel sistema delle impugnazioni, limitandone gli effetti devolutivi e introducendo “filtri” sia in appello, sia in cassazione. Con riguardo – in particolare – alle modifiche apportate all’art. 376 c.p.c. [1], l’effetto di tali modifiche dovrebbe essere quello di una forte tendenza alla stabilità degli indirizzi di legittimità: il ricorso avverso una sentenza rispettosa dei consolidati principi di diritto affermati dalla S.C. ben difficilmente potrebbe superare il vaglio di inammissibilità (per manifesta infondatezza ex [continua ..]
In termini estremamente sintetici, le azioni promosse dai clienti della banca hanno comunemente ad oggetto: – la domanda di accertamento negativo del credito risultante dalla documentazione dei rapporti bancari (in tutto o per una parte di esso), proposta in via principale ovvero quale reazione alla domanda della banca, proposta per lo più in via monitoria; – conseguentemente (ma non necessariamente) la domanda di ripetizione degli importi addebitati dalla banca in assenza di copertura contrattuale (per mancanza o nullità integrale del contratto ovvero per mancata pattuizione o nullità delle singole clausole relative ad interessi, commissioni, spese, ecc.); – domande risarcitorie di varia natura (per illegittimo recesso dai rapporti bancari/ingiustificata revoca degli affidamenti; per indebita segnalazione alla Centrale rischi, ecc.); – domande aventi ad oggetto la natura e/o la validità / efficacia delle garanzie prestate in favore dei correntisti. A loro volta, le azioni promosse dagli istituti bancari hanno ad oggetto – specularmente – la richiesta di pagamento delle somme dovute dai clienti, per scoperti di conto corrente, a seguito di revoca degli affidamenti o risoluzione dei contratti di mutuo, ecc., azioni a loro volta proposte in via principale (nelle forme del procedimento monitorio) ovvero in via riconvenzionale a fronte della iniziativa del correntista. L’identificazione tipologica delle azioni promosse e il loro reciproco rapporto comporta rilevanti conseguenze sotto vari profili, come si esaminerà più avanti. Una questione di respiro più generale, affrontata anche di recente dalla Corte d’Appello di Torino, attiene alla verifica della sussistenza dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in capo al correntista che proponga domanda di accertamento – ad una determinata data – dell’esatto saldo del conto corrente in via autonoma: il caso più frequente si verifica allorché il rapporto di conto corrente sia ancora in essere e la domanda di ripetizione di indebito non venga proposta, o comunque venga ritenuta inammissibile. Sul punto si rinvengono alcune pronunce della Corte che danno atto di un orientamento nel senso dell’ammissibilità della domanda di mero accertamento, ritenuta sorretta da interesse ad agire [2], in forza delle seguenti argomentazioni: – la domanda di [continua ..]
a) un primo gruppo di questioni che si presentano frequentemente nell’ambito del contenzioso bancario, ma che sono riconducibili al più generale tema delle regole del giudizio, attiene agli oneri assertivi e probatori, a loro volta strettamente dipendenti dalle differenti domande proposte da correntista e/o banca. Anche a questo riguardo ci si limiterà ad una attività ricognitiva delle pronunce della Corte d’Appello. Il principio di cui dall’art. 2697 c.c. non viene diversamente declinato nelle controversie in esame. Una prima questione attiene alle conseguenze della mancata produzione degli estratti conto: come linea guida per la lettura delle pronunce della Corte d’Appello – si premette che gli attuali costanti orientamenti della S.C., sono – in prima approssimazione – i seguenti: a) se agisce la banca la ricostruzione viene operata dal primo estratto conto se a credito del correntista; se è a debito si parte dal saldo zero; tale disciplina è applicabile anche in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, ove l’attore sostanziale è la banca; b) se agisce il correntista, la ricostruzione viene operata sulla base degli estratti conto prodotti, e non si applica la regola del saldo zero se è a debito per il correntista. In presenza di azioni reciproche, ossia quando l’attore proponga domanda di accertamento negativo del credito risultante dal saldo passivo di un rapporto di conto corrente bancario, nonché di ripetizione dell’indebito relativamente agli interessi pagati in eccedenza rispetto al dovuto e l’istituto di credito non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria, ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il credito negato dalla controparte, ambedue le parti hanno l’onere di provare le rispettive contrapposte pretese [4]. A tale riguardo, va segnalata una recente pronuncia della Corte d’Appello di Torino, che – nel caso di azioni reciproche – ha ritenuto applicabile il principio di acquisizione documentale, sì che il probatorio di una parte possa ritenersi colmato dalla produzione avversaria [5] Quale ulteriore considerazione, va rilevato come nella realtà processuale le situazioni non sempre collimino con gli schemi ora descritti, e molto spesso le produzioni siano incomplete (produzione dei soli estratti conto e/o degli scalari, periodi non [continua ..]
Un caso piuttosto controverso, che costituisce una sorta di cartina di tornasole di quanto già posto in evidenza con riguardo alla necessità di non trascurare la necessaria variabilità della delimitazione dell’oggetto della cognizione del giudizio di appello, è rappresentato dalla questione della validità del contratto di conto corrente prodotto dalla banca con sottoscrizione del solo correntista, in quanto – come frequentemente accade – è stato stipulato nelle forme dello scambio di corrispondenza a fini di vantaggio fiscale. La vicenda è arcinota: da tempo immemore si era ritenuto, con riguardo al contratto soggetto a forma scritta ad substantiam, che la produzione in giudizio della copia sottoscritto da uno soltanto dei contraenti, documento medesimo, ad opera dell’altra parte, non determinasse la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisse alla mancanza della sottoscrizione di detta parte con effetti retroagenti al momento della stipulazione: sono reperibili pronunce in tale senso nell’arco temporale che va dagli anni Settanta dello scorso secolo sino al 2016, raro esempio di costanza giurisprudenziale [21]. Con una serie di sentenze pronunciate a partire dal 2016 (la prima è la n. 5919 del 24 marzo 2016 [22]), per la verità per la quasi totalità con riferimento a contratti di negoziazione di strumenti finanziari, comunque retti da analoga previsione di solennità della forma, la Corte di cassazione ha mutato radicalmente orientamento e ha affermato che, “In tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta “ad substantiam”, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti “ex nunc” e non “ex tunc”, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; ne consegue che tale meccanismo non opera se l’altra parte abbia “medio tempore” revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l’estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi”. A tale mutamento di indirizzo è [continua ..]
Stante l’ampiezza dell’argomento deve darsi per presupposto l’inquadramento generale: verranno pertanto evidenziate alcune pronunce della Corte d’Appello di Torino relative a specifiche questioni. A tale riguardo possono essere di interesse alcuni orientamenti sinora stabilmente assunti della Corte, che riguardano i seguenti temi: – distinzione tra usura originaria e sopravvenuta, con applicazione della sanzione dell’art. 1815, secondo comma, c.c. solo nella prima ipotesi, e riduzione al tasso soglia per i periodi ove è stato superato nella seconda [26]; – per i periodi anteriori al 1 gennaio 2010 esclusione delle commissioni di massimo scoperto applicate dalla banca ai fini del calcolo del TEG e applicazione della c.d. “Formula della Banca d’Italia” allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, al fine di procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario [27]; – non cumulabilità degli interessi corrispettivi e moratori: riguardo a tale ultima questione, invero maggiormente controversa rispetto alle precedenti, merita riportare un passaggio di motivazione: “…Effettivamente, sin dalla sentenza n. 350/2013 la Corte di Cassazione ha espressamente affermato che gli interessi di mora rilevano ai fini dell’usura, e ciò in ragione dell’argomento letterale desunto dal dettato degli artt. 1815 c.c. e 644 c.c. (nonché del D.L. 394/2000), che fanno riferimento agli interessi usurari pattuiti “a qualunque titolo”; Dunque è punto fermo nella giurisprudenza di legittimità che gli interessi moratori non possano non rilevare ai fini di verificare il superamento del tasso soglia, seppur gli stessi debbano essere analizzati separatamente rispetto agli interessi compensativi, senza operare un cumulo tra gli stessi, ciò anche in considerazione della diversa natura e dei diversi presupposti di applicazione. Se la lettura della S.C. è nel senso di attribuire agli interessi moratori una funzione in senso lato prossima a quella remuneratoria degli interessi corrispettivi, differente ne è pur sempre il presupposto, consistente nella violazione dell’obbligo di tempestiva restituzione gravante sul debitore: il che modifica [continua ..]
Altre questioni che pare opportuno richiamare riguardano difese di natura seriale tipicamente poste in essere dai correntisti: eccezioni di nullità parziale consistenti nella contestazione della validità di alcune specifiche clausole dei contratti, con riguardo alle clausole che prevedono di capitalizzazione degli interessi passivi [32], l’applicazione della commissione di massimo scoperto ante 2009 [33], il computo di valute convenzionali, e così via. A tale riguardo, allo stato, gli orientamenti espressi non presentano particolari aspetti di controversia o tensione. Un accenno merita la questione, spesso “sommersa” tra molteplici eccezioni sollevate, e pertanto immeritatamente trascurata, della applicazione delle c.d. valuta fittizie. A tale riguardo merita di essere menzionata una recente pronuncia della Corte d’Appello di Torino, che ha chiarito quanto segue: “La questione relativa agli addebiti ed accrediti delle somme sul c/c in giornate diverse rispetto a quella in cui l’operazione è stata effettuata, in assenza di alcuna pattuizione in proposito, non può ritenersi profilo esclusivamente contabile, con conseguente necessità, per contestarlo, di contestare gli estratti conto nei termini prescritti; non si tratta infatti in questo caso di un occasionale errore di addebito o accredito di un’operazione ma di una sistematica regolamentazione delle valute in senso difforme da quella della effettiva data dell’operazione; in questo senso di traduce in una particolare condizione del conto corrente che incide sui costi dello stesso e che, al pari delle altre condizioni, necessita dunque di una pattuizione scritta ai sensi dell’art. 117 TUB” [34]. Parimenti di rilievo è l’affermata esclusione della applicabilità della disciplina di cui all’art. 1194 c.c., ai conti correnti bancari, con l’eccezione dell’ipotesi che al conto acceda un’apertura di credito, ex art.1842 c.c., ed il correntista abbia fatto versamenti su conto scoperto destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’indebitamento [35]. La carrellata potrebbe ancora proseguire, non essendosi investigati, per necessaria scelta selettiva, le questioni, che pur sono diretto sviluppo del tema della disciplina dei contratti bancari e della loro validità, attinenti alle conseguenze risarcitorie che [continua ..]
In conclusione, un accenno ad un tema che si pone al confine tra il diritto processuale e le prassi di buona organizzazione dell’attività giurisdizionale. La frequente complessità delle materie trattate e la forte oscillazione degli indirizzi giurisprudenziali di legittimità manifestatasi con particolare intensità nell’ultimo periodo, rendono molto difficile, nella materia bancaria, che si verifichino i presupposti per l’utilizzo del filtro processuale di inammissibilità di cui all’art. 348 bis c.p.c.: in molti casi anzi i mutamenti giurisprudenziali intervenuti nello iato tra la sentenza di primo grado ed il giudizio di appello rendono necessario procedere ad integrazioni istruttorie, segnatamente di natura tecnico contabile. Più aderente alle caratteristiche dei processi trattati ed opportuna nei processi di minore risulta allora l’opzione per il rito semplificato di cui all’art. 281-sexies, c.p.c., con trattazione orale della causa: tale rito è inoltre da ritenersi pienamente compatibile con il procedimento di appello [36].