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1. I gruppi di società - 2. Le ragioni del gruppo - 3. Il gruppo di società: i problemi - 4. Dalle leggi speciali alla riforma del diritto societario - 5. Impresa di gruppo? - 6. La direzione unitaria - 7. Il rapporto contrattuale di gruppo - 8. Il regolamento di gruppo: funzioni operative - 9. Regolamento di gruppo e autorizzazioni statutarie - 10. L'attività di direzione unitaria: tipologia - 11. Il criterio dei vantaggi compensativi - 12. I vantaggi compensativi: casistica - 13. I vantaggi compensativi: la giurisprudenza - 14. Abuso di direzione e coordinamento: la giurisprudenza - 15. Altri casi giurisprudenziali - 16. Conclusioni - Nota
Nel trattare un argomento ampio e complesso qual è il tema dei gruppi di società, intendo focalizzare l’attenzione sui punti di riferimento normativi essenziali in questa materia e vedere come l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale si sia sviluppata dopo la riforma del 2003, alla luce della casistica pratica sia sotto il profilo della patologia sia sotto il profilo della fisiologia e in che misura l’evolversi della riflessione dottrinale si sia tradotto nella giurisprudenza più recente. Il gruppo di società rappresenta la forma organizzativa della maggioranza delle imprese italiane. Molto spesso si pensa al gruppo solo in termini di grandi gruppi o gruppi multinazionali: in realtà, come oggi si legge anche nei manuali, il gruppo è la forma giuridica tipica della moderna società per azioni.
Quali sono le ragioni economiche per cui si costituisce un gruppo? La prima, ormai neanche la più importante, è la ripartizione ulteriore della responsabilità patrimoniale; inoltre la funzione di leverage nella raccolta dei capitali, soprattutto nei gruppi a catena; in tutti i gruppi, in maniera più o meno complessa, la realizzazione di una strategia complessiva dal punto di vista economico-produttivo, dal punto di vista della distribuzione commerciale, dal punto di vista finanziario sia esterno sia interno, nonché di una organizzazione manageriale più efficiente.
Quali sono i problemi essenziali che hanno un immediato riflesso giuridico? La questione di fondo è la dialettica tra l’unità del gruppo (e quindi l’esigenza di strategie unitarie condivise e comuni a tutte le società appartenenti al gruppo) e, dall’altra parte, la conservazione di una sfera di autonomia delle singole società, con un “istituzionale” conflitto di interessi tra capogruppo (e socio di controllo), da un lato, e soci di minoranza e creditori delle società eterodirette, dall’altro lato.
Il legislatore per lungo tempo è intervenuto in molti settori della legislazione speciale, nell’ordinamento bancario, nella legge sull’editoria, nell’ordinamento assicurativo, in materia di amministrazione straordinaria ma si è astenuto, a lungo, dall’intervenire con una nozione e una disciplina di carattere generale. Si giunge così alla riforma del 2003-2004 in cui, di nuovo, il legislatore è stato “prudente”, perché non ha voluto una definizione di gruppo. Un autorevole studioso (SPADA) ha però, esattamente, osservato che, pur mancando una definizione di gruppo, è tuttavia noto quali siano i problemi del gruppo. Il legislatore, inoltre, non ha dettato – è vero – una disciplina sulla “fisiologia” del gruppo ma, regolando la responsabilità da abuso di direzione e coordinamento, ha implicitamente introdotto una disciplina positiva: stabiliti infatti i confini oltre i quali sorge una responsabilità da direzione unitaria, si evince che al di sotto di quella soglia l’attività di direzione e coordinamento è legittima.
Un tema molto discusso è l’esistenza dell’impresa di gruppo. L’opinione prevalente – che condivido – è nel senso che un’impresa di gruppo non esiste: esiste una pluralità di imprese che sono imputate alle singole società. Tuttavia la dimensione del gruppo trasforma per così dire qualitativamente e le singole imprese e le società: per usare una formula che mi pare efficace, le società diventano, nel gruppo, «società a sovranità limitata» (MIGNOLI). Si tratta allora di stabilire fino a che punto i condizionamenti sull’attività delle controllate imposti dalla capogruppo siano legittimi e fino a che punto invece l’autonomia delle singole società debba essere conservata.
In primo luogo è necessario definire che cosa significa direzione unitaria. Ebbi a suo tempo a scrivere che si tratta di una pluralità sistematica e costante di atti idonei ad incidere sulle decisioni gestorie delle controllate cioè sulle scelte strategiche di carattere finanziario, industriale e commerciale pur nell’ambito di una relativa autonomia delle singole società. Questo principio ha trovato conferma in diverse sentenze, in particolare del tribunale di Milano, decisioni che – con nostra soddisfazione – hanno utilizzato la stessa formulazione.
Un tema assai discusso – e molto rilevante – è il problema della relazione all’interno del gruppo tra la controllante e le controllate, cioè tra società capogruppo e le società eterodirette. Vi sono – essenzialmente – due teorie: secondo una teoria si tratta di un rapporto di mero fatto (GALGANO). A mio parere, per contro, e ci sono conferme giurisprudenziali, il rapporto di direzione e coordinamento è un rapporto giuridicamente rilevante e precisamente un rapporto contrattuale, o formalizzato nel regolamento di gruppo o posto in essere per facta concludentia consistenti nella emanazione e nella esecuzione delle direttive della capogruppo. La qualificazione del rapporto di direzione e coordinamento come rapporto contrattuale ha precise conseguenze sul piano della disciplina applicabile poiché nei limiti della soglia consentita – e cioè come subito si dirà nei limiti del criterio dei vantaggi compensativi – la capogruppo ha non solo il potere ma il diritto di emanare direttive e le società eterodirette sono non solo facoltizzate bensì obbligate ad eseguirle. Vi è una precisa conferma giurisprudenziale: è stato stabilito che la revoca degli amministratori per non aver adottato legittime direttive è una giusta causa di revoca (Trib. di Cagliari, 14 aprile 2011, in Giur. comm., 2013, II, 691, con nota di RIVARO). La questione non è di astratta dottrina; ha, bensì, nella operatività concreta del gruppo, un significato rilevante: gli amministratori della società eterodiretta valutano se la direttiva, emanata in relazione ad una specifica decisione della controllata, non incide illegittimamente (cioè in assenza di compensazione attuale o prospettica) sull’autonomia gestoria della società e, in caso affermativo, sono tenuti ad adottarla. Se invece si ritenga che si tratti di una mera relazione di potere (ANGELICI) l’incertezza nel rapporto tra amministratori della holding e della controllata può diventare problematica. Una conferma: l’art. 2497-septies statuisce che ove non vi sia una relazione di controllo, le società possono, con un contratto, assoggettarsi alla direzione e coordinamento di un’altra società. Francamente risulta arduo comprendere come ciò possa essere legittimo tra società [continua ..]
Se è vero – come a me pare – che la relazione di gruppo “qualificata” (cioè caratterizzata dalla direzione unitaria della capogruppo) si configura come rapporto giuridico contrattuale, ciò implica che il regolamento di gruppo può diventare un elemento efficiente ed efficace per la regolazione dei rapporti interni. Frequentemente, nell’esperienza pratica, il regolamento di gruppo stabilisce le aree decisionali in cui la capogruppo può impartire direttive alle controllate, ad esempio in materia di criteri di nomina degli amministratori delle società controllate, di modalità per la stipulazione dei contratti di fornitura, di disciplina delle forme di finanziamento e così via. Il regolamento di gruppo – dotato dunque di valenza giuridica vincolante – si configura come strumento operativo chiaro ed efficiente.
Il gruppo può essere a struttura direzionale maggiormente concentrata oppure invece decentrata. Uno strumento di rafforzamento del potere direttivo che si unisce bene al regolamento di gruppo è la previsione di autorizzazioni statutarie. È noto che in base all’art. 2364, n. 5, c.c. l’assemblea non può avere competenze amministrative ma lo statuto può prevedere autorizzazioni assembleari su atti di gestione. Se nello statuto della società controllata si inserisce – ad esempio – la clausola per cui la nomina del direttore generale è sottoposta all’autorizzazione dell’assemblea, e cioè della capogruppo, si configura una sorta di potere di veto del socio di controllo, cioè della capogruppo, che conduce, a ben vedere, ad una decisione positiva nei confronti del direttore generale gradito. Se si sottopone ad autorizzazione dell’assemblea della eterodiretta ad esempio l’acquisizione di partecipazioni strategiche o di rami aziendali strategici, chiavi fondamentali della gestione, vengono attribuiti, legittimamente, sia pure con il sistema “indiretto” dell’autorizzazione, poteri direttivi alla società capogruppo con una regolamentazione giuridica chiara sia per la capogruppo stessa sia per le controllate.
Quanto alle aree di esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, si possono richiamare alcuni esempi. I piani strategici finanziari, la individuazione delle regole per l’erogazione di garanzie infragruppo, tema particolarmente delicato in particolare con riferimento alle garanzie up-stream, da una controllata a favore della controllante, le strategie commerciali, le modalità dell’advertising, i servizi di gruppo. In particolare i servizi di gruppo – materia assai frequentemente oggetto di direzione unitaria (si pensi ai servizi informatici “centralizzati”) – pongono problemi pratici rilevanti. Ad esempio, a mio parere, l’adozione delle tariffe di gruppo deve sempre essere giustificata nelle decisioni dei consigli di amministrazione delle singole società, in quanto il prezzo pagato deve essere non lesivo dell’efficienza della società stessa. È quindi opportuno che i criteri con cui vengono allocati i prezzi dei servizi intragruppo siano precisati nella deliberazione consiliare. Altro tema rilevante è la gestione della liquidità di gruppo. In Francia la materia è addirittura regolata per legge ma in ogni ordinamento gli accordi di cash pooling sono ampiamente diffusi, nei gruppi di una certa dimensione, e consentono alle società con liquidità in eccesso di metterla a disposizione di società che necessitano invece di liquidità aggiuntiva, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle disponibili sul mercato.
Il limite all’“ingerenza” e al condizionamento delle scelte gestorie delle controllate che la capogruppo deve rispettare nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento consiste nel c.d. criterio dei “vantaggi compensativi” che proposi in via interpretativa, ormai vent’anni orsono, e che il legislatore ha poi accolto con la riforma del diritto societario. Il condizionamento della capogruppo è legittimo anche se impone un pregiudizio alla controllata, purché il pregiudizio sia compensato da vantaggi attuali o anche soltanto fondatamente prevedibili (cfr. artt. 2497 e 2634 c.c.). Il legislatore civilistico ha usato una formula un po’ anodina, perché ha stabilito che «non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette». In proposito si segnalano due interpretazioni. Un’interpretazione restrittiva, letterale, secondo cui il pregiudizio non si configura se con una valutazione ex post se ne verifica l’insussistenza: si tratta, a mio parere di un’interpretazione illogica, perché la valutazione ex post contrasta con ogni principio in tema di scelte gestorie, con il risultato che nessun amministratore si prenderà mai la responsabilità di stabilire che un atto, probabilisticamente, non è dannoso per poi rischiare di essere ritenuto responsabile con un giudizio ex post. Più chiaro il legislatore penale perché, nell’art. 2634, ha stabilito che il reato di infedeltà patrimoniale non sussiste se «il profitto della società collegata o del gruppo» è «compensato da vantaggi, conseguiti o» – appunto – «fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo»; per l’appunto se i vantaggi sono fondatamente prevedibili: esattamente la formula che avevo suggerito.
La casistica pratica è ricca di spunti. Riporto un esempio tratto da un’esperienza concreta. Si tratta della organizzazione di un finanziamento di gruppo erogato ad una special purpose entity assistito da una pluralità di garanzie – ipoteca su immobili, fideiussioni, lettere di patronage, revolving pledges – rilasciate dalle diverse società del gruppo a favore del finanziatore. A sua volta il finanziamento viene ripartito tra le diverse società del gruppo ma – ecco la peculiarità – in misura non necessariamente proporzionale all’entità della garanzia prestata dalle singole società. La ragione della particolarità dell’operazione consiste, nel caso di specie, nella necessità di un forte investimento in un nuovo prodotto i cui risultati economici, in termini di futura produzione e commercializzazione, si producono in favore dell’intero gruppo. È chiaro che in una prospettiva “atomistica” l’intera operazione non potrebbe essere posta in essere; per contro, nella misura in cui, ragionevolmente, con valutazione ex ante è prevedibile un vantaggio per tutte le società del gruppo, l’operazione è legittima e non concreta un abuso di direzione unitaria. Vi è poi giurisprudenza consolidata, con riferimento anche ai gruppi di minori dimensioni, che ha stabilito la legittimità della società immobiliare di gruppo destinata a rilasciare garanzie per i finanziamenti erogati a favore delle diverse società del gruppo.
Interessanti le pronunce giurisprudenziali che hanno deciso di ipotesi in cui la direzione e coordinamento deve ritenersi legittima. Ad esempio si è ritenuto che nell’interesse di gruppo possa essere stipulato un contratto di appalto intragruppo con determinazione del compenso pari al costo (così Trib. Milano, 15 maggio 2014, Direct People s.r.l c. The DMC Holding AG e altri). Altre decisioni hanno riconosciuto la legittimità di contratti di servizi di gruppo a prezzo forfettariamente determinato (così Trib. Milano, 25 ottobre 2012, Valbruna Nederland B.V. c. Ilva S.p.a. e analogamente Trib. Milano, 25 marzo 2013 Valbruna Nederland B.V. c. Ilva S.p.a.). Interessante altresì altra decisione che ha ritenuto legittimo un finanziamento intragruppo, in quanto è legittimo «che la controllante agisca nell’esclusivo interesse proprio purché non rechi danno alle controllate o che i danni siano adeguatamente compensati»; nella specie si è rilevato che «l’interesse percepito dalla controllata è sempre stato superiore a quello attivo che essa avrebbe percepito depositando in banca la propria liquidità nonostante gli interessi attivi percepiti sui depositi, in quanto società facente parte del gruppo Policlinico San Donato fossero superiori a quello di mercato» (Trib. Milano, 17 febbraio 2012). Analogamente si è ritenuto legittimo un sistema di cash-pooling redatto secondo le normali tecniche di «efficiente gestione della tesoreria aziendale» (così Trib. Milano, 10 novembre 2014 Carla Garuti e altri c. Smurfit Kappa Holdings Italia S.p.a.).
Si è per contro ritenuto concretare un abuso di direzione e coordinamento l’imposizione alla eterodiretta di operazioni preordinate all’ottenimento da parte della controllante di un indebito risparmio di imposta (Trib. Milano, 22 marzo 2013 Mib Prima S.p.a.); l’imposizione di un’operazione di cessione di crediti che non ebbe a determinare un danno patrimoniale ma che produsse un danno finanziario che, privando la società della necessaria liquidità in un momento di grave difficoltà, si è ripercosso in termini di continuità aziendale (così, Trib. Milano, (ord.), 3 aprile 2015, Immobiliare La Cartiera S.r.l. c. Esperia S.p.a. e al., rilevante anche ai fini della violazione del disposto dell’art. 2467). Significativo il caso Bertone in cui il Tribunale ha riconosciuto una violazione del principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale dell’eterodiretta in quanto «la capogruppo di fatto impediva ogni forma di ricapitalizzazione della controllata, nonché l’adozione da parte della controllata di ipotesi di salvataggio quali la presentazione di istanza di ammissione al concordato preventivo», «decisioni prese esclusivamente nell’interesse proprio in quanto decisioni diverse avrebbero coinvolto Bertone S.p.A nella necessità di garantire l’esecuzione del concordato con il proprio patrimonio» (cit., Trib. Torino, 21 dicembre 2012, Carrozzeria Bertone S.p.A. c. Cortese Ermelinda Bertone e altri).
Segnalo infine alcune decisioni su temi peculiari. Una sentenza del Tribunale di Milano, affrontando una fattispecie che mi era parsa a suo tempo come possibile elemento di criticità nella disciplina dell’art. 2497-bis, ha accolto un “disconoscimento di paternità”, inibendo alla società che aveva dichiarato di essere sottoposta a direzione e coordinamento di altra società la menzione di tale soggezione in quanto, pur in presenza di un accordo commerciale di fornitura, non poteva in esso ravvisarsi né un’ipotesi di «controllo contrattuale e ancor meno di soggezione al coordinamento» (Trib. Milano, 19 settembre 2012, Pressmetal Gunzenhausen GMBH & Co.KG c. Newcast BDC S.r.l.). Una decisione in tema di recesso ex art. 2497-quater: il Tribunale di Milano ha statuito che «a seguito dell’acquisto di una partecipazione sociale, il socio coltiva una aspettativa agli utili e un diritto alla quota positiva di liquidazione, esponendosi, al contempo, al rischio di non ricevere né l’uno − per svariate ragioni − né l’altro (nel caso la liquidazione non lasci margini positivi); in linea di principio, quindi, si dovrebbero ritenere “alterate” le condizioni di rischio dell’investimento allorché si ravvisi che l’ingresso o l’uscita dal gruppo − o il cambio della società esercente l’attività di direzione e coordinamento − abbia determinato o rischi in concreto di determinare un impatto negativo sull’equilibrio patrimoniale e finanziario della società e/o sul valore della partecipazione e/o sulle prospettive reddituali della società eterodiretta, e di conseguenza, sulle aspettative reddituali che il socio nutriva prima di questo cambiamento» (Trib. Milano, 21 luglio 2015, Comitalia S.p.a. c. Pomellato S.p.a. e al.).
La disciplina italiana per diversi profili costituisce addirittura una punta avanzata rispetto al diritto europeo, anche se, come ho già avuto modo di sostenere, alcune modificazioni della disciplina potrebbero essere utili anche per risolvere alcune questioni interpretative ancora aperte. Per evitare il rischio di una lettura riduttiva, cioè ex post, del criterio definitorio dei vantaggi compensativi – «non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento» (art. 2497, comma 1, ult. parte) – mi parrebbe opportuno mutuare espressamente – come ho sostenuto, in ogni caso, in via interpretativa – la formula dal più chiaro sintagma dell’art. 2634: la responsabilità non sussiste «se il danno risulta mancante, in quanto compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dall’attività di direzione o coordinamento». Un opportuno restyling merita poi l’art. 2497-septies, in materia di direzione e coordinamento contrattuale. La norma, in primo luogo, dovrebbe contemplare nella rubrica non soltanto il coordinamento ma anche la direzione, come del resto emerge dal testo della disposizione. Soprattutto non si comprende la ragione dell’inciso «fuori dalla ipotesi di cui all’art. 2497-sexies». Per quale ragione il rapporto contrattuale dovrebbe essere legittimo soltanto tra società indipendenti e non anche nell’ambito del gruppo? È ben vero il contrario: il passaggio da una relazione di mero potere ad una relazione qualificata come rapporto giuridico ha il pregio, come si è detto, di delineare con chiarezza i “poteri” della società che esercita la direzione unitaria, e i suoi limiti, e, specularmente, i doveri della eterodiretta e i “diritti di resistenza” degli amministratori di questa nei confronti del management della capogruppo. Abrogare l’inciso legittima, utilmente, il regolamento di gruppo come strumento contrattuale di disciplina, anche nel gruppo, della direzione unitaria. La disciplina italiana si pone, per completezza di regolazione e modernità di criteri, pur con alcuni limiti da superare, come un punto di riferimento per una disciplina europea alla luce degli spunti emersi da altri ordinamenti (si veda in [continua ..]