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1. Il problematico rispetto degli obblighi internazionali - 2. Gli organi giurisdizionali dellUE e della Convenzione EDU al servizio dei rispettivi Trattati - 3. Efficacia ed ultraefficacia delle sentenze della Corte EDU. Il rispetto, anche indiretto, dei princípi della Convenzione - 4. Fonti e competenza. Connubio e separazione - NOTE
Secondo opinione diffusa, l’adesione ad una organizzazione internazionale permette al Paese interessato di conseguire – a scapito della rinuncia a parte della sovranità – particolari vantaggi sul piano economico e sociale. Ciò è vero, ma solo in parte e non costantemente; per altro verso i vantaggi stessi possono non essere equamente distribuiti, verificandosi che dagli accordi, taluni Paesi di traggano maggiori benefici rispetto ad altri. Le produzioni tradizionali ovvero quelle a più elevato standard qualitativo, ad es., possono essere danneggiate da accordi che impediscano una forma di protezione da prodotti scadenti, ma a buon mercato. Anche in seno alle organizzazioni militari è pacifico che gli Stati più forti si arroghino il diritto ad effettuare le scelte politiche decisive ovvero, in altri casi, orientino le scelte politiche degli Stati più deboli attraverso la concessione di aiuti o prefigurando danni economici o sanzioni pecuniarie nei confronti dei membri non allineati [1]. A fronte permane la sovranità degli Stati, i quali in ogni caso effettuano le proprie scelte sulla base dei propri interessi e della propria forza sia militare che economica. In altre parole, a livello pattizio, la regola pacta sunt servanda trova temperamento nella clausola rebus sic stantibus, per cui il trattato può essere “denunciato” per il sopravvenire di situazioni eccezionali o imprevedibili. Il mancato rispetto dell’accordo peraltro può essere episodico, senza che perciò venga a cadere in toto; per cui l’organizzazione internazionale può reagire o con una semplice tolleranza o con procedure di condanna o d’infrazione, non di rado seguite da sanzioni, mentre il singolo Stato, nei confronti del quale è stato violato l’accordo, potrà adottare delle ritorsioni, proporzionali alla natura e alla gravità dell’illecito. Per altro verso l’infrazione può nascere non tanto in vista di ottenere un particolare vantaggio, ma anche solo in ossequio ad imperativi etici superiori, così come accadde nel caso Venezia allorché la Corte costituzionale [2] negò l’estradizione di un cittadino italiano verso gli Stati Uniti giacché il reato, di cui era chiamato a rispondere, era colà passibile di pena di morte. Superando le [continua ..]
Le organizzazioni internazionali sono talora dotate di un esecutivo e di un apparato giudiziario volti a rendere effettive le proprie decisioni. Così nell’UE la Commissione è chiamata a vigilare sull’applicazione delle disposizioni adottate dalle Istituzioni, mentre “la Corte di giustizia ed il Tribunale di primo grado assicurano … il rispetto del diritto nell’applicazione e nell’interpretazione del … trattato”. In particolare il Tribunale di primo grado è competente a conoscere dei ricorsi promossi dai privati, mentre la Corte di giustizia di quelli promossi dai soggetti cosiddetti privilegiati (ovvero Stati e Istituzioni). All’effettivo rispetto delle decisioni degli organi giurisdizionali comunitari, soccorre quindi l’art. 260, comma 1, TFUE, che impone agli Stati membri – e ovviamente ai loro organi – di adottare i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenze della CG. Il che si ricollega, a più ampio raggio, all’assoluto divieto “per le autorità nazionali competenti di applicare una disposizione nazionale dichiarata incompatibile col Trattato e, se del caso, l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia del diritto” comunitario [9]. La CG ha inoltre ha una specifica competenza, in ordine ai ricorsi pregiudiziali, previsti dall’art. 267 TFUE (già 234 Tratt. CE), e aventi ad oggetto l’interpretazione del Trattato, nonché la validità e l’interpretazione degli atti delle Istituzioni [10]. Nella parte in cui la disposizione prevede che la procedura sia attivabile solo in pendenza di un giudizio dinanzi ad una giurisdizione nazionale – provocata di regola dall’incertezza circa la corretta applicazione di un Regolamento comunitario ovvero circa la preferenza da accordare a un regolamento piuttosto che a una legge nazionale – il ricorso può essere assimilato a quello proponibile in Italia presso la Corte costituzionale [11]. Attraverso questo strumento la CG svolge una funzione nomofilattica, nel senso che fornisce, in primis ai giudici nazionali – e di riflesso, come si è detto, ai privati – uno strumento che assicura sul territorio un’interpretazione e un’applicazione uniformi del diritto comunitario [12]. Da parte sua la Corte [continua ..]
Ad assicurare il rispetto delle decisioni della Corte EDU interviene l’art. 46 della Convenzione, che ricorda che gli Stati aderenti si sono impegnati a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. Se poi il Comitato dei Ministri ritiene che uno Stato rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva in una controversia cui è Parte, può – dopo aver messo in mora tale Parte e con una decisione adottata con voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato – adire la Corte sulla questione dell’adempimento degli obblighi assunti dalla Parte stessa. Esaminando la cosa da un punto di vista nazionale, qualora risulti “con sentenza definitiva la violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione, sorge per lo Stato l’obbligo di riparare tale violazione adottando le misure generali e/o individuali necessarie” [21]. Al conseguimento di tale obiettivo si può altresì pervenire o attraverso la restitutio in integrum a favore dell’interessato ovvero tramite revisione, così come è stato stabilito da C. Cost. n. 113/2011, in cui si dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva un diverso caso di revisione del processo al fine di dare completa efficacia ad una decisione della Corte di Strasburgo e la restitutio in integrum a favore del ricorrente. Di fronte poi alla rilevata “esistenza di violazioni sistemiche (o strutturali) di disposizioni della Convenzione”, che ne pregiudica in definitiva l’efficacia [22], la Corte di Strasburgo può anche far leva sull’art. 61, n. 1, Reg. CEDU, il quale prevede la figura delle sentenze pilota, nelle quali, individuato il problema e sospesa la trattazione delle vertenze ad esso collegate, la Corte invita lo Stato interessato ad adottare a livello interno adeguate “misure riparatorie” onde superare il contrasto con la Convenzione. In difetto, al di là della condanna dello Stato inadempiente, la Corte riprende l’esame dei ricorsi che erano stati rinviati (art. 61, n. 8). Stanti gli elementi caratterizzanti delle sentenze pilota – vale a dire l’indicazione del problema strutturale, nonché le misure riparatorie a carico della Parte inadempiente – [continua ..]
Le fonti del diritto “umanitario” sono, per la Corte di Strasburgo, la Convenzione EDU, i Protocolli – che la integrano e la modificano – e la propria giurisprudenza; per la Corte di Lussemburgo i principi generali degli Stati membri, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la Conv. EDU, testi tutti filtrati e adattati al sistema comunitario dalla CG stessa. Il problema delle fonti per la CEDU per certi versi non esiste, essendo tutte nate in seno allo stesso ordinamento ed essendo, ratione materiae, omogenee. Il problema invece sorge in capo all’UE, nel momento in cui questa ha cercato di introdurre accanto alla normativa dei Trattati (latu sensu economica), norme di salvaguardia dei diritti dell’uomo e del cittadino. La prima fonte oggettivamente estranea al corpo dei Trattasti è richiamata – come abbiamo detto (cfr. § 1) – dall’art. 288 Tratt. CE (ora 340 TFUE) in tema di responsabilità extracontrattuale della Comunità, laddove si ricorda che il risarcimento può avvenire “conformemente ai principi generali comuni agli Stati membri”. Nata come una formula per far fronte alle lacune del sistema – e non ignota al nostro legislatore, che, nell’impossibilità di utilizzare l’analogia legis, richiama, con l’art. 12, comma 2, disp. prel. c.c., “i princípi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato” [28] – è stata progressivamente estesa al di là dell’art. 340 e oggettivamente definita dalla giurisprudenza comunitaria [29]. La piattaforma, estendendosi ai princípi costituzionali comuni agli Stati membri, ha sostanzialmente recepito i princípi fondamentali nell’ordinamento. In relazione ad essi la Corte ha affermato che, garantendone l’osservanza, essa non può ammettere provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti e garantiti dalle Costituzioni di tali Stati [30]; “inoltre – soggiunge – i trattati internazionali, cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito [31], possono del pari fornire elementi di cui tenere conto nell’ambito del diritto comunitario” [32]. Tale assunto è tuttavia sottoposto al limite della supremazia ultima del diritto comunitario, nel senso che, per evitare la violazione di un [continua ..]