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Premessa - 1. Un flash sulla struttura della fattispecie - 2. Società collegate e gruppi. La clausola dell'esclusione dell'ingiustizia del profitto nelle operazioni infragruppo - Note
Il complesso e variegato universo dell’‘aggregazione fra imprese’ osservato con la lente del cultore di diritto penale attribuisce all’infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) [1] un ruolo di spicco, non soltanto per la struttura, certamente innovativa in punto operatività del disposto (come noto, la norma – rivolta alla tutela del patrimonio sociale o, relativamente ai beni posseduti od amministrati per conto di terzi, alla ricchezza da essa disponibile, nonché al dovere oggettivo di correttezza, di affidabilità e di fedeltà che non deve portare l’organo gestorio a strumentalizzare l’ufficio per fini privati – ha colmato una lacuna da sempre denunciata nel panorama punitivo italiano), ma soprattutto per l’espressa rilevanza e per la precisa considerazione che nel contesto della fattispecie rivestono società collegate e gruppi.
La selezione dei soggetti attivi – amministratori, direttori generali e liquidatori e che, in punto soggetti amministratori, include anche i comportamenti infedeli posti in essere dall’amministratore unico – risponde alla scelta legislativa di circoscrivere la repressione penale alle forme di abuso del patrimonio sociale commesse nell’ambito dei poteri gestori, intesi comunque in senso lato. L’art. 2639 c.c. (rubricato Estensione delle qualifiche soggettive) consente l’ascrizione ai soggetti componenti dell’organo gestorio/consiglio di gestione nelle società con sistema di governo societario di tipo duale, ai soggetti di fatto che significativamente e continuativamente abbiano svolto le funzioni proprie dei soggetti formalizzati ed agli amministratori che siano stati legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società od i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi. Costituisce presupposto necessario per la configurabilità del delitto il fatto che il soggetto attivo abbia un interesse (extrasociale) in conflitto con quello della società, avente contenuto economico oggettivo, attuale, effettivo. Esso deve preesistere all’atto dispositivo ed è da valutarsi secondo un giudizio di prognosi postuma, con riferimento al momento dell’assunzione della deliberazione. Si tratta di un requisito che, caratterizzando il fatto tipico, opera in funzione di selezione dei fatti assoggettabili a sanzione penale e che presenta maggiori margini di determinatezza rispetto a eventuali soluzioni alternative incentrate su più generici assunti quali l’abuso dei poteri o la violazione dei doveri, di tale che, in assenza della obbligatoria situazione di conflitto, questi non dovrebbero sussidiariamente assumere rilievo. Interessa rilevare che la giurisprudenza di legittimità tende ad incardinare la “vera” essenza e la effettiva nozione di infedeltà patrimoniale non tanto nel danno per la società, quanto nella tipizzazione della «necessaria relazione tra un preesistente conflitto di interessi, con i caratteri dell’attualità e dell’obbiettiva valutabilità, e le finalità di profitto o altro vantaggio dell’atto di disposizione, finalità che si qualificano in termini di ingiustizia per la [continua ..]
Come anticipato nell’esordio di questo scritto, nel contesto strutturale della fattispecie di infedeltà patrimoniale è presente un richiamo espresso sia alle società collegate, sia ai gruppi societari. Per completezza, va ricordato che Il Titolo XI del Libro V del codice civile – “contenitore” dei reati societari codificati – è stato riformato dal d.l. 11 aprile 2002, n. 61, normazione delegata di cui alla legge delega n. 300/2000, legge delega “comune” anche ai successivi complessi normativi di riforma della parte “civilistica” del diritto societario codificato del 2003, entrati in vigore nel 2004. Ne consegue che i testi dell’articolato penale sono segnati da una nota negativa di fondo in punto metodologia di produzione, rappresentata dalla “inversione cronologica” della novella del 2002, con la precedenza accordata, in controtendenza rispetto ai percorsi classici, alla riforma del diritto punitivo societario sulla riforma del diritto civile delle società. Costituisce un esempio problematico proprio il richiamo “penale” espresso nella fattispecie di infedeltà patrimoniale ai gruppi societari, richiamo che, se nel 2002 venne qualificato come una positiva ed importante novità, ha invece rischiato di scontare in maniera forte l’“inversione cronologica”, posto che il legislatore della riforma del diritto civile societario non ha seguito la via – invece presumibile nel 2002 – di una specifica definizione appunto del gruppo societario. Tuttavia, i molteplici dati normativi civilistico-commerciali che hanno caratterizzato e richiamato l’istituto portano oggi a valutare con maggiore “tranquillità” il riferimento di cui è causa. Partendo dalla considerazione dei riconosciuti intrecci di interessi in un gruppo societario, la dottrina sottolineava come l’introduzione di una generale figura incriminatrice di infedeltà patrimoniale avrebbe dovuto essere accompagnata da una specifica causa di esclusione della responsabilità penale ove si precisassero le condizioni in cui l’interesse sociale del gruppo può operare in materia. Il terzo comma dell’art. 2634 c.c., nell’occuparsi delle cosiddette infedeltà interagenti nel gruppo societario, è diretto a legittimare le istanze di gestione di un gruppo [continua ..]