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1. Premessa - 2. L'insolvenza dei gruppi di imprese - 3. Conclusioni - Riferimenti di dottrina - Riferimenti di giurisprudenza
Il fenomeno economico del gruppo di imprese ha avuto crescente diffusione nel nostro Paese, al punto che la strutturazione nella forma di gruppo di società è ormai diventata il modello organizzativo abituale di tutte le grandi imprese, nazionali e multinazionali: esso si caratterizza per la presenza di una pluralità di imprese che svolgono la loro attività come componenti di un unitario centro di organizzazione economica imprenditoriale. In tale prospettiva, viene anche comunemente definito come un’aggregazione di imprese formalmente autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate ad una direzione unitaria. E il principale elemento di differenziazione del gruppo di imprese in senso proprio, rispetto a fenomeni che realizzano comunque un raggruppamento (quali, ad esempio, i consorzi o le diverse forme di joint venture) viene individuato dagli interpreti proprio nella direzione unitaria che la società capogruppo (o società-madre) esercita nei confronti delle partecipate (o società-figlie), sia perché partecipa direttamente al capitale di queste ultime (c.d. controllo interno o diretto) sia in forza di vincoli contrattuali (c.d. controllo esterno o contrattuale). Occorre, tuttavia, considerare che la nozione di gruppo è comprensiva anche del fenomeno del c.d. gruppo in senso orizzontale o paritetico, che nasce propriamente da un accordo tra imprese giuridicamente distinte, le quali si sottopongono volontariamente ad una direzione unitaria, senza peraltro che l’una abbia il controllo o un’influenza dominante sulle altre. Il gruppo sotto il profilo economico viene – quindi – considerato in termini di impresa unitaria, anche se sul piano giuridico questa ricostruzione è accolta soltanto da una parte della dottrina e della giurisprudenza. Essa ha trovato la sua illustrazione più importante nel pensiero di Francesco Galgano, secondo il quale il gruppo di società rappresenta una particolare forma di organizzazione imprenditoriale in cui l’impresa esercitata dalla holding e dalle controllate è unica e di essa sono titolari tutte le società che lo compongono. Più in particolare, in esso la funzione di direzione e controllo è riservata alla capogruppo, mentre le funzioni operative sono affidate alle controllate; inoltre, la capogruppo esercita un’attività [continua ..]
2.1. L’insolvenza dei gruppi di “diritto comune”. Lo status quo 2.1.1. Il fallimento di gruppo Anzitutto deve essere affrontata la questione se sia possibile la dichiarazione di fallimento di un “gruppo”. All’interrogativo non può che essere data risposta negativa, in quanto non esiste nel nostro ordinamento il “fallimento del gruppo”: la distinta personalità giuridica e l’autonomia patrimoniale di cui sono dotate le società appartenenti ad un medesimo gruppo, nonostante il vincolo derivante dal rapporto di collegamento o controllo, comportano che l’accertamento dello stato di insolvenza debba essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica di ogni singola società. In tale prospettiva, la Suprema Corte (Cass. 18 novembre 2010, n. 23344) ha affermato il principio per cui: «Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società, che sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da un’unica società “holding”, l’accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti». 2.1.2. Il concordato preventivo di gruppo 2.1.2.1. Il contesto normativo Come si è detto, manca nel nostro ordinamento una specifica disciplina in tema di concordato preventivo di gruppo. Infatti, come rilevato ormai da tempo dalla giurisprudenza di merito (si veda, fra le altre, Trib. Roma 7 giugno 2007), il legislatore della riforma fallimentare «non si è preso cura di affrontare e regolare l’insolvenza dei gruppi di impresa, neanche tenendo conto che l’istituto, sia pure limitatamente alla responsabilità, era stato regolato dalla riforma societaria attraverso l’art. 2497». Il che costituisce una lacuna non marginale ove si osservi che l’organizzazione in gruppo delle imprese costituisce, come si è già osservato, la realtà economica qualitativamente e numericamente più rilevante riscontrabile nel mercato. E sotto questo profilo [continua ..]
Come si è già avuto modo di porre in evidenza, la rilevanza giuridica del gruppo assume un perimetro di applicazione che assume portata non esclusivamente endogena, ma sfocia nella considerazione dell’interesse di tutti gli stakeholder. In tale contesto, e nella prospettiva della valutazione degli interessi degli stakeholder maggiormente esposti in una situazione di default, non si può prescindere dalla considerazione dell’interesse dei creditori – soprattutto nel concordato in continuità – alla sopravvivenza dell’intero gruppo ove, dalla “capitolazione” anche soltanto di una delle sue componenti, discenda il tracollo di tutte. Si è ampiamente detto della posizione netta della giurisprudenza in ordine all’inammissibilità del fallimento di gruppo, mentre sono state richiamate alcune sentenze di merito in cui è stata attribuita rilevanza al concordato di gruppo, con il noto epilogo dissacratorio della Suprema Corte. In attesa della riforma, ci si deve quindi interrogare se – attraverso la previsione di appositi correttivi – possano essere superati i limiti di fattibilità giuridica individuati dalla Suprema Corte, nella sentenza più volte richiamata. Il limite principale posto in evidenza dalla Suprema Corte è costituito dall’autonomia delle masse passive: ciò sancirebbe in radice l’illegittimità del concordato di gruppo. Vale quindi la pena di verificare se e come tale limite possa essere superato. Muovendo da tale constatazione, occorre prendere in esame quali possano essere gli strumenti utilizzabili per accentrare e coordinare l’espressione del voto, pur nella salvaguardia del “peso specifico” delle singole masse passive: ciò è possibile attraverso la creazione di “classi virtuali”, corrispondenti alle masse distinte di ciascuna delle società appartenenti al gruppo insolvente. Come è noto, l’art. 160 l. fall. consente di suddividere i creditori in classi secondo la loro posizione giuridica e l’omogeneità dei loro interessi economici, e di assegnare trattamenti differenziati ai creditori appartenenti a classi diverse. Al riguardo occorre sottolineare che l’organizzazione dei creditori in classi è facoltativa, potendo il ricorrente decidere di non formare alcuna classe, o meglio di [continua ..]
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