In tema di gruppi di imprese partiamo da un’osservazione o, forse, sarebbe meglio dire da una constatazione.
È noto che nel nostro ordinamento giuridico manca – sul piano del diritto positivo – una definizione normativa specifica, completa ed esauriente del “gruppo di imprese” o del “gruppo di società” ed una correlativa disciplina organica della struttura dei gruppi, anche se è ormai incontestabile che oggi si tratta di un fenomeno caratteristico del neo capitalismo, con una presenza sempre più diffusa nella prassi quale creazione imprenditoriale sul piano economico [1].
La validità generale del modello organizzativo del “gruppo di imprese” è stata riconosciuta legislativamente dalla legge delega n. 366 del 2001, in ossequio ai dettami della quale hanno, poi, preso vita, rispettivamente, in campo civile il d.lgs. n. 6 del 2003 contenente la riforma del diritto societario e, in campo penale, il d.lgs. n. 61 del 2002 in materia di riforma dei reati societari.
Ai fini definitori, si può indubbiamente affermare la valenza unitaria del gruppo di imprese, in quanto il gruppo si presenta quale fenomeno caratterizzato dall’unitarietà economica della sua attività [2] contrapposta alla molteplicità o frammentarietà giuridica delle sue componenti, costituite da diversi soggetti autonomi che mantengono la loro distinta personalità o soggettività giuridica e, conseguentemente, la loro autonomia patrimoniale e gestionale.
In questo contesto, si può richiamare, innanzitutto, la norma di cui all’art. 2634 c.c. [3] che contiene, al terzo comma, una sorta di anticipazione del concetto unitario di gruppo e trova, oggi, una piena coerenza sia sul piano civilistico che su quello penalistico.
Infatti, con ulteriore riferimento – sul piano civilistico – alle norme introdotte dalla riforma sulla direzione e sul coordinamento di società, si può ora con certezza affermare come, a partire dal 1° gennaio 2004, nel nostro ordinamento giuridico sia ormai configurabile l’impresa di gruppo, nel cui contesto la direzione unitaria vulnera il principio, finora imperante, dell’autonomia patrimoniale delle singole società controllate, in quanto l’art. 2497 c.c. configura una vera e propria responsabilità dell’impresa-holding (individuale o societaria) nei confronti dei soci (anche di minoranza) e dei creditori sociali delle società controllate, per fatti riferibili al loro patrimonio, ma riconducibili ad una mala gestio unitaria del gruppo, rimanendo i soci e i creditori sociali di ciascuna società del gruppo titolari di posizioni giuridiche riconosciute e tutelate anche a fronte del più ampio e generale interesse di gruppo.
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