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1. Premessa - 2. Processo civile e prova scientifica - 3. Talune questioni interessanti - 4. Nota bibliografica
1.1. I fatti e le massime di esperienza Sarò rapido, anzi rapidissimo, sul tema delle massime di esperienza, partendo dalla distinzione rispetto ai fatti storici ai quali esse vengono applicate. I fatti debbono essere provati con mezzi da esperire in giudizio o tramite documenti, salvo che si tratti di fatti notori, a cui sono da equiparare quelli non contestati. In particolare, i fatti notori sono quelli normalmente conosciuti da una persona di media cultura. Così, appartengono al notorio la natura festiva di determinati giorni, la memoria di un celebre evento di cronaca, la misura dell’inflazione monetaria in base agli indici diffusi dall’istituto nazionale di statistica. Ed in quanto tali, il giudice può porli a fondamento della propria decisione senza necessità di acquisirli in sede istruttoria. Le massime di esperienza, invece, sono regole di giudizio che vengono applicate ai fatti storici, siano essi fatti da provare o no, per raggiungere, attraverso il ragionamento, una conclusione di carattere conoscitivo. Tali massime possono essere assai semplici o «comuni» e collegare l’esistenza di determinati fatti storici a determinate conseguenze quasi senza che ci si renda conto del procedimento logico sotteso. È però frequente che siano molto più complesse, tanto che per elaborarle ed applicarle correttamente occorre ricorrere a conoscenze specialistiche. 1.2. La conoscenza scientifica Entro dunque nel vivo del mio intervento, che ha ad oggetto la prova scientifica nel processo civile. Come in precedenza si accennava, le massime di esperienza possono essere di tipo comune. Ma le massime di esperienza possono essere anche «scientifiche». Ciò avviene quando le regole espresse sono proprie di una determinata disciplina e sono dunque ad appannaggio di una cerchia più o meno ristretta di esperti. Non si può inoltre dimenticare che ancor prima della loro valutazione tramite massime di esperienza, talvolta, gli stessi fatti possono essere percepiti e quindi acquisiti al processo solo attraverso un metodo scientifico, non bastando il ricorso ai tradizionali mezzi di prova come la testimonianza, l’interrogatorio delle parti, la produzione di scritti o di riproduzioni meccaniche quali le fotografie o le registrazioni audio e video. Si apre così uno stimolante scenario di interessanti questioni processuali. Prima [continua ..]
2.1. L’evoluzione storica Iniziando dalla storia, a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo si è assistito ad uno straordinario progresso delle scienze in senso lato, nonché dei correlati saperi specialistici. Sono pertanto diventati passibili di analisi fatti che in precedenza non lo erano e che, quindi, o erano trascurati o venivano esaminati alla luce del mero senso comune. Tuttavia, gli istituti destinati ad introdurre la scienza nel processo non sono molto mutati. Non è infatti nuova, nonostante l’attuale fortissima accelerazione, la necessità di utilizzare nozioni ed applicare massime di esperienza che, per il loro carattere specialistico, non appartengono alla cultura del giudice, ma che occorrono per interpretare o anche per accertare fatti rilevanti per la decisione giudiziaria. Né, dall’ingresso nell’età moderna, la disciplina processuale ha subito, per quanto riguarda il rapporto con la scienza, rapidi mutamenti, registrando semmai alcune tendenze evolutive di lungo periodo, sulle quali ci soffermeremo. 2.2. Gli ordinamenti continentali Passando alla comparazione, per gli ordinamenti continentali gli strumenti attraverso cui i saperi specialistici trovano ingresso nel processo sono, adottando la terminologia del legislatore italiano, la «consulenza tecnica» in materia civile e la «perizia» in materia penale, che, quanto meno a partire dai codici napoleonici, sono stati dettagliatamente disciplinati dalla legge. La distinzione tra la prima e la seconda è peraltro concettualmente evanescente, dato che, salvo le ovvie minute differenze, prevedono entrambe che il giudice nomini un esperto a cui porre quesiti da risolvere con il ricorso ad apposite conoscenze. Non a caso, del resto, in Italia la «consulenza tecnica» di cui agli articoli da 61 a 68 nonché da 191 a 201 dell’attuale codice di procedura civile viene correntemente denominata anche «perizia», come del resto era chiamata nel codice di procedura civile previgente. L’esperto opera come ausiliario di giudici di carriera, quali tipicamente sono i magistrati delle nazioni continentali. Il contraddittorio inoltre si esplica soprattutto nelle forme del «contraddittorio tecnico» ossia attraverso il confronto tra l’esperto nominato dal giudice e quelli nominati dalle parti, che lo affiancano [continua ..]
3.1. Una carrellata di problemi Esaurite le considerazioni di ordine generale, mi propongo di affrontare alcuni punti problematici in tema di acquisizione e valutazione della prova scientifica nel processo civile italiano. Talune questioni sono di ordine prettamente processuale e suscitano interrogativi che potrebbero trovare soluzione anche in una prospettiva de iure condendo. Così, ad esempio, la rilevanza che dovrebbe essere attribuita alla collaborazione tra il giudice, il consulente e le parti nella formulazione del quesito. Oppure l’opportunità che il giudice si rivolga al consulente non solo per la valutazione ma anche per la ricerca della prova, tanto più se si considera che l’una tende ad influenzare l’altra e viceversa. O infine l’attuazione della garanzia del contraddittorio tecnico, che nella prassi non pare ancora soddisfacente, nonostante l’impegno ultimamente profuso in tal senso dal legislatore. Ulteriori questioni riguardano poi i saperi specialistici di cui può essere chiesto l’apporto in giudizio. Infine, occorrerà approfondire il tema del controllo giudiziario sulla decisione che recepisca o si discosti dal risultato di una consulenza tecnica. Ma andiamo per ordine. 3.2. Il consulente e i quesiti peritali Il primo problema inerisce alla stessa decisione di ricorrere alla consulenza tecnica, nonché alla scelta dell’esperto incaricato di svolgerla e alla formulazione dei quesiti da sottoporgli. Nel processo civile italiano, tutte queste attività sono riservate al giudice, ma già implicano un sapere specialistico. Quel sapere di cui si assume che il giudice sia carente, tanto da essere costretto a chiedere l’aiuto di un esperto. Non è pertanto concepibile che, prima di disporre la consulenza, il giudice resti completamente digiuno della materia su cui essa verterà. Diversamente, non potrebbe capire quando una consulenza vada effettivamente disposta, non riuscirebbe ad individuare gli esperti migliori, non saprebbe formulare un quesito calzante e rigoroso. Il giudice, quindi, dovrà preliminarmente documentarsi. Né conviene che si sottragga al confronto con le parti o, per meglio dire, con i loro avvocati. Si sa, infatti, che il primo materiale di studio e di riflessione è costituito, per il giudice, dagli atti e dai documenti di causa. È dunque utile [continua ..]