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1. Nozione - 2. Competenze e fumositŕ della Corte EDU - 3. In ambito comunitario - NOTE
Avevamo affrontato in una precedente ricerca [1] i problemi che erano sorti per via di un recente quanto imprevisto revirement della CEDU in ordine al principio di ne bis in idem. Esso in realtà, nella sua più elementare nozione non dovrebbe essere contestabile: i problemi sorgono quando se ne vuole estendere la portata soprattutto senza l’ausilio di precise e ragionevoli – ragionevoli in quanto logicamente giustificate – disposizioni. Come è noto tale regola nasce in area penale per rispondere ad esigenze di economia dei procedimenti e per garantire il cittadino nei confronti del malfunzionamento dell’apparato statale. Essa rientra fra i princípi generali del diritto [2] e come tale può essere contestata anche in assenza di specifica previsione. Tuttavia nel nostro sistema, a differenza di quello precedente, che non conosceva una Costituzione rigida – e fatti salvi benvenuti interventi maieutici della Corte costituzionale – ciò può non essere sufficiente, giacché tali princípi dovrebbero operare solo a livello interpretativo (art. 12, comma 2, d.p.c.c.). Pertanto quando la duplicazione scaturisce dall’applicazione di norme legislative nazionali, la relativa contestazione oggi avviene classicamente lamentando la violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. [3]e di conseguenza dell’art. 4 del Prot. n. 7 della Conv. EDU, recepita nel nostro ordinamento. Da un punto di vista sistematico la duplicazione può sorgere tra enti, le cui competenze sono poste a tutela di uguali sfere d’interesse o di sfere d’interesse diverse. In entrambi i casi il conflitto è risolvibile o con l’accordo tra le due autorità o con la rinuncia di una delle due o con l’intervento decisivo di un’autorità superiore. Nel caso di competenze diverse e di diversi beni tutelati, la duplicazione è in un certo senso fisiologica e si esplica solitamente su piani diversi. Il CIO è un esempio di Autorità internazionale che nel suo ambito si pone su un piede di parità rispetto agli Stati “territoriali”: talora le due parti mostrano un reciproco disinteresse [4], talaltra una sovrapposizione e una collaborazione (così in materia di doping, dove alla sanzione sportiva può pianamente affiancarsi quella statale). La [continua ..]
La Corte EDU si fa carico tanto dei ricorsi interstatali (art. 33 Conv. EDU), quanto di quelli individuali (art. 34 Conv.). In ordine al principio di ne bis in idem essa svolge la propria funzione accertando l’esistenza di una duplicazione all’interno di uno Stato membro (laddove la CGUE viene investita soprattutto delle duplicazioni derivanti dall’apertura di procedimenti analoghi – per lo stesso fatto – presso Stati diversi). La Conv. EDU si fa carico di garante del principio prevalentemente sotto il profilo sostanziale, oscillando fra l’esigenza di una garanzia “assoluta” e quella del rispetto delle tradizioni giuridiche degli Stati aderenti e delle loro diverse modalità d’approccio. Formalmente il problema del rispetto di tale principio, come di qualsiasi altro principio consacrato nella Conv. EDU, non dovrebbe sussistere, in quanto gli Stati firmatari della Convenzione sono tenuti a sottostarvi e, in caso di violazione, in base all’art. 46, a conformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU. Inoltre, come si ricorda nella sent. Grande Stevens/Italia del 4 marzo 2014 (punto 232 ss.), se il diritto nazionale non permette o permette in modo solo imperfetto di rimuovere la violazione della Convenzione, lo Stato convenuto può scegliere, per dare soddisfazione alla controparte, le misure generali e/o individuali da adottare nel suo ordinamento giuridico interno. In altra sentenza essa è arrivata a suggerire allo Stato condannato di procedere alla revisione della norma costituzionale in contrasto con la Convenzione [7]. Tale invito, peraltro respinto dallo Stato interessato, ha suscitato alcune dubbi anche in Italia, nella misura in cui appare in contrasto con l’orientamento della Corte costituzionale italiana [8]. Nell’ipotesi poi di constatata violazione ovvero di mancato adeguamento al dettato della Corte EDU, il caso è inviato al Comitato dei Ministri affinché, ex art. 46, n. 5, “esamini … le misure da adottare”. Tuttavia, nonostante le migliori intenzioni gli Stati firmatari spesso – come nel caso del rispetto della regola del ne bis in idem – si trovano di fronte ad una situazione complessa e contraddittoria creata della stessa Corte [9], che pur fa uso di appropriati strumenti per ovviare all’inconveniente. Fra questi si segnala [continua ..]
Quanto premesso ha portato a sostenere in sede comunitaria l’opportunità di attenuare – al momento di recepire i principi garantiti dalla CEDU – la portata del diritto fondamentale in questione o di determinati aspetti dello stesso (nel caso, ad es., della sanzione amministrativa accanto a quella penale) [21], onde tener conto delle tendenze normative degli Stati. Nei Paesi europei il principio del ne bis in idem trova infatti diffusa tutela seppure attraverso vie diverse – tanto giurisprudenziali, come legislative o costituzionali [22] – di modo che si può parlare di principio generale comune agli Stati europei. Ora tale presenza è stata rafforzata dalla normativa comunitaria, che a livello privatistico – con la Convenzione di Bruxelles del 1968, sostituita dal Regolamento (UE) n. 1215/2012, meglio nota come Bruxelles 1 bis, in vigore dal 10 gennaio 2015. – è intervenuta per armonizzare le legislazioni dei vari Paesi in ossequio al rispetto della certezza del diritto e alla diffusione della fiducia nell’amministrazione della giustizia all’interno dell’Unione. A tal fine soccorre l’art. 52 del citato reg., ai sensi del quale “in nessun caso una decisione emessa in uno Stato membro può formare oggetto di un riesame nel merito nello Stato membro richiesto”, nonché l’art. 29, secondo cui “qualora davanti alle autorità giurisdizionali di Stati membri differenti e fra le medesime parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza dell’autorità giurisdizionale adita in precedenza” (comma 1); con l’effetto che “se la competenza dell’autorità giurisdizionale precedentemente adita è stata accertata, l’autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore della prima” (comma 3) [23]. Su questa base quindi la normativa italiana all’art. 7 della legge n. 218/1995 dispone che qualora nel corso del giudizio sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di una domanda, avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritenga che [continua ..]