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1. Premessa - 2. Le nozioni di crisi e di insolvenza - 3. Le massime di comune esperienza - 4. La prova scientifica dell’insolvenza - 5. I modelli predittivi contenuti nella legge delega di riforma delle procedure concorsuali e le fonti di riferimento più recenti - 6. Conclusioni - NOTE
La riforma delle procedure concorsuali introduce una nuova nozione di crisi, costituita dalla probabilità di futura insolvenza, la cui tempestiva rilevazione dispiega una serie di effetti di natura sia civilistica (i.e. misure di allerta) sia penale (i.e. misure premiali). Risulta, quindi, fondamentale individuarne i contorni in modo preciso, attraverso un suo attento esame dal punto di vista sia giuridico sia economico. In tale prospettiva, riveste particolare interesse la natura dell’indagine che l’autorità giudiziaria è chiamata a svolgere, attraverso un corretto bilanciamento fra le massime d’esperienza e la prova scientifica. L’autorità giudiziaria, infatti, deve svolgere una funzione pressoché esclusiva di valutazione, svolgendo la funzione non di peritus peritorum, ma piuttosto di unicus peritus. Occorre, quindi, che sia acquisita un’adeguata padronanza degli strumenti di valutazione storica e prognostica della crisi, e soprattutto che ne siano individuate con precisione le fonti, così da garantire una completa e – per quanto possibile – esaustiva base di riferimento informativa, cui applicare i principi testé enunciati. Ma, prima di verificare quando ricorra la probabilità di insolvenza, occorre delineare la corretta nozione di “crisi” e di “insolvenza”, nell’attuale – e nel “futuro” – contesto normativo.
Come è noto, l’art. 5, comma 2, l.f., si limita a definire lo stato di insolvenza, precisando che esso «si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». Per altro verso, l’art. 160, comma 3, l.f., stabilisce che «Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza». Il rapporto fra crisi e insolvenza è – quindi – da genere a specie e ha natura statica, come di seguito raffigurato La legge delega di riforma delle procedure concorsuali (l. 19 ottobre 2017 n. 155), all’art. 2, comma 1, si propone – fra i principi – di «c) introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica, mantenendo l’attuale nozione di insolvenza». Si tratta, quindi, di una nozione dinamica: la crisi è uno “stato” che può risolversi, rimanere tale o degradare in insolvenza. Merita, a questo punto, verificare cosa possa intendersi per probabilità di insolvenza, ricercando spunti sia nella disciplina sia nella prassi. Purtroppo, non esiste una nozione precisa, sebbene qualche riferimento è desumibile dalla legge delega citata, ove – all’art. 4, lett. h) – si impone di «prevedere che il requisito della tempestività ricorre esclusivamente quando il debitore ha proposto una delle predette istanze, entro il termine di sei mesi dal verificarsi di determinati indici di natura finanziaria da individuare considerando, in particolare, il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi, l’indice di rotazione dei crediti, l’indice di rotazione del magazzino e l’indice di liquidità». La giurisprudenza, nell’attuale contesto normativo, aveva già esplorato la nozione di probabilità di insolvenza. In particolare, il Tribunale di Torino [1] aveva introdotto elementi di dinamicità nella nozione di insolvenza, precisando che «… la dimostrazione di un fatto (nella specie il nesso causale) non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, che [continua ..]
La valutazione della situazione in cui versa l’impresa può, anzitutto, essere condotta con un approccio per così dire soft, basato sull’esame di elementi indiziari che – nella comune esperienza, ma che trovano anche fondamento normativo (art. 5, comma 2, l.f., cit.) e che muovono dal presupposto che stato di insolvenza «si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». La giurisprudenza ha sviluppato in campi diversi da quello dell’insolvenza i criteri di applicazione della regola di giudizio costituita dalla cd. “massima d’esperienza” basata su elementi indiziari. Afferma la Cassazione penale (ex multis Cass n. 1775/2012 fonte rv. Italgiureweb n. 254196) che “una massima di esperienza è un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse e quindi valevole per nuovi casi (Cass Sez. VI 7-3-2003, n. 31706, Abbate, rv. n. 228401). Si tratta dunque di generalizzazioni empiriche, tratte, con procedimento induttivo, dall’esperienza comune, che forniscono al giudice informazioni su ciò che normalmente accade, secondo orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione. Dunque, nozioni di senso comune (common sense presumptions), enucleate da una pluralità di casi particolari, ipotizzati come generali, siccome regolari e ricorrenti, che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi”. La Cassazione civile a sua volta afferma (sentenza 2033 del 2011 rv. Italgiureweb n. 619282) che: “Le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall’osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all’art. 115 cod. proc. civ., come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l’argomentazione di tipo presuntivo”. Il meccanismo mentale utilizzato dal giudice nel momento in cui applica la massima di esperienza è quello che si può definire a grandi linee [continua ..]
4.1. La probabilità in luogo della certezza La valutazione dello stato di insolvenza può, poi, passare attraverso l’esame di ulteriori elementi indiziari, che possono essere a pieno titolo ricondotti nella nozione di prova scientifica. Si potrebbe obiettare, è vero, che la prova scientifica dello stato di insolvenza – o della sua manifestazione prospettica – deve necessariamente fondarsi su una prognosi, per sua natura non certa, ma probabilistica. Tuttavia, da una parte, la prova scientifica non è mai certa – si pensi al fatto che la teoria della gravitazione universale di Newton, comunemente accettata sino alla fine dell’’800, è stata, almeno in parte, confutata con l’avvento della teoria della relatività di Einstein – e, dall’altra, la riforma delle procedure concorsuali si fonda – per espressa formulazione legislativa – non sulla certezza, ma sulla probabilità. Chiarito tale concetto, pare utile richiamare gli strumenti di valutazione della crisi, elaborati dalle scienze economiche e aziendalistiche. 4.2. L’Accordo di Basilea II La prima fonte di riferimento – non normativa – è costituita dagli Accordi di Basilea e dalla loro declinazione nella prassi bancaria. Gli Accordi di Basilea sono linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori del G10 (composto attualmente da undici paesi), allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria. Gli accordi (assieme alle linee guida, agli standard e alle raccomandazioni) sono una particolare forma operativa attraverso cui il Comitato agisce, e sono stabiliti nell’aspettativa che le singole autorità nazionali possano redigere disposizioni operative che tengano conto delle realtà dei singoli Stati. Infatti il Comitato, pur non avendo capacità regolamentare autonoma, riesce a conferire efficacia all’attività svolta, in quanto i paesi che vi aderiscono sono implicitamente vincolati, e quelli che non aderiscono si adeguano a quello che, di fatto, diventa uno standard regolamentare. In questo modo il Comitato incoraggia la convergenza verso approcci e standard comuni. L’Accordo di Basilea II introduce la nozione di rating, come insieme di procedure di analisi e di calcolo grazie al quale una banca valuta [continua ..]
Come già si è detto, la legge delega di riforma delle procedure concorsuali individua i seguenti indici di natura finanziaria: i) il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi; ii) l’indice di rotazione dei crediti; iii) l’indice di rotazione del magazzino; iv) l’indice di liquidità. Come risulta evidente, la legge delega è ancorata a modelli predittivi tradizionali e, sebbene presumibilmente soltanto a titolo esemplificativo, richiama alcuni dei principali indici di bilancio. Una rassegna completa del novero degli indici segnaletici dello stato di crisi è riportato in un recente documento di prassi, predisposto dall’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano (quaderno n. 71) e intitolato “Sistemi di allerta interna. Il monitoraggio continuativo del presupposto di continuità aziendale e la segnalazione tempestiva dello stato di crisi da parte degli organi di vigilanza e controllo societaria. Guida in materia di sistemi di allerta preventiva”. In particolare, il documento distingue fra: 1) indicatori segnaletici dei rapporti finanziari; 2) anomalie contabili; 3) indicatori segnaletici di natura tributaria e previdenziale. Fra gli indicatori segnaletici dei rapporti finanziari figurano, in particolare, i seguenti: • il significativo e concordato deterioramento dei rating interni assegnati dalle banche (cd. Downgrade); • gli sconfinamenti rilevanti e ripetuti, negli ultimi dodici mesi, presso la Centrale Rischi; • l’incremento delle segnalazioni di insoluti su anticipo crediti; • le domande di fido oltre gli ordinari fabbisogni di cassa attesi; • le ripetute istanze di temporanee disponibilità di cassa per far fronte a esigenze di tesoreria non giustificate dalla stagionalità; • i rientri nelle linee di credito per cassa o firma che non si inseriscono in una rimodulazione complessiva della struttura degli affidamenti. Rientrano, invece, fra le anomalie contabili: • la riduzione superiore al 50% del patrimonio netto, per effetto di perdite; • la drastica riduzione del fatturato per un ammontare superiore al 10% o eccedente il 30% del margine di sicurezza dato dalla differenza tra i ricavi e il cd. break even point; • l’anomalo aumento del capitale circolante operativo, non compensato da un pari [continua ..]
Sulla base degli elementi indiziari sopra illustrati, rientranti – a seconda dei casi – fra le massime di comune esperienza o nell’ambito della prova scientifica, si può giungere all’apprezzamento – oggi – della probabilità di insolvenza – e – domani – della crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza. Pare utile sottolineare che il ricorso a valutazioni probabilistiche costituisce non solo un approccio giurisprudenziale di vastissimo utilizzo, ma – nell’apprezzamento della crisi e dell’insolvenza – rappresenta anche una via obbligata. In particolare, la giurisprudenza ha particolarmente sviluppato tale problematica nel campo della colpa e in particolare delle malattie professionali, sviluppando principi che sono assolutamente validi in ogni campo del giudizio giurisdizionale. Pur senza richiamare l’ampia giurisprudenza che si è sviluppata sul tema, pare utile evocare l’orientamento della Suprema Corte (Cass. 5 agosto 2010, n. 18270), la quale – in un caso di malattia professionale – ha affermato che la dimostrazione di un fatto (nella specie il nesso causale) non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione, che può essere, peraltro, data anche in via di probabilità, ma soltanto ove si tratti di “probabilità qualificata”, da verificare attraverso ulteriori elementi idonei a tradurre in certezza giuridica le conclusioni in termini probabilistici. Tale orientamento prende le mosse dalla nota sentenza penale “Franzese” emessa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328), nella quale ricorre frequentemente ai termini “credibilità razionale” ovvero “probabilità logica”. E, per parte sua, anche la Cassazione civile risulta essere assolutamente stabile nell’applicazione di tale principio. Applicato alla prognosi di insolvenza, questo concetto implica la necessità di dimostrazione secondo il principio della “probabilità qualificata” dell’impossibilità dell’impresa di far fronte alle proprie obbligazioni in tempi ragionevoli e con ragionevoli possibilità di successo. Ma, come si è detto, l’utilizzo di [continua ..]