Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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I rapporti di lavoro nel trasferimento di azienda (di Fiorella Lunardon)


SOMMARIO:

1. Specialità della disciplina del trasferimento di azienda e assenza di rilievo del 'consenso' del prestatore di lavoro - 2. La controversa fattispecie del trasferimento di ramo di azienda - 3. La disciplina del rapporto di lavoro del lavoratore trasferito - Note


1. Specialità della disciplina del trasferimento di azienda e assenza di rilievo del 'consenso' del prestatore di lavoro

La disciplina del trasferimento d’azienda, nel diritto del lavoro, costituisce una disciplina speciale, vale a dire “in deroga” alla disciplina che secondo il diritto comune trova applicazione nelle ipotesi di modificazione soggettiva di una delle parti del contratto. Ai sensi dell’art. 2558, comma 1, c.c., «se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale». Ciò significa che sul piano civilistico venditore ed acquirente possono, con una manifestazione di volontà ad hoc, escludere dal perimetro del trasferimento alcuni contratti [1]. Qualora poi volesse operarsi il confronto con riferimento non alla disciplina “commercialistica” ma a quella “civilistica pura”, va ricordato che l’art. 1406 c.c., in tema di cessione del contratto, recita: “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”. Ben diversamente si atteggia la disciplina lavoristica. L’art. 2112 c.c. appronta una tutela finalizzata a rendere il rapporto di lavoro insensibile rispetto alle vicende circolatorie dell’impresa prevedendo che in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua in modo automatico e inderogabile con il cessionario (principio di continuità) e il prestatore di lavoro conserva tutti i diritti maturati presso il cedente. A garanzia di tali diritti è prevista la responsabilità solidale tra cedente e cessionario. A fini del perfezionamento dell’operazione novativa (che si risolve nel mutamento soggettivo del creditore della prestazione), non è richiesto il consenso del lavoratore trasferito [2]. Come visto, tale peculiarità trova spiegazione nella specialità della disposizione codicistica, che sotto questo profilo risulta peraltro coerente con le disposizioni che negano rilievo alle manifestazioni di volontà del lavoratore subordinato (in quanto tale soggetto, alla pari del datore di lavoro, al principio dell’inderogabilità della normativa lavoristica) [3]. D’altro canto, lo stesso consenso appare tecnicamente inutile, a fronte della [continua ..]


2. La controversa fattispecie del trasferimento di ramo di azienda

Configurandosi il consenso del lavoratore come elemento estraneo alla ratio dell’art. 2112 c.c. non stupisce che, per di più operando la norma a senso unico “garantistico”, la giurisprudenza abbia nel tempo elaborato una fattispecie quanto mai ampia del trasferimento d’azienda [4]. L’attuale quinto comma dell’art. 2112, introdotto dal d.lgs. n. 276 del 2003 a giuridificazione di orientamenti ormai consolidati, recita «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato». Le operazioni estensive della fattispecie, fino ad un certo momento, sono quindi risultate coerenti con la finalità protettiva classicamente attribuita alla fattispecie stessa. La fattispecie del trasferimento è dunque molto ampia e comprende cessioni in senso lato, scissioni, fusioni, affitto, usufrutto, leasing, conferimento. Attualmente fa eccezione l’ipotesi del trasferimento del pacchetto azionario perché la giurisprudenza non vi ravvisa un mutamento di titolarità dell’a­zienda, limitandosi tale trasferimento ad un mero mutamento degli assetti materiali ed economici dell’impresa [5]. La stessa nozione di “azienda” è stata progressivamente ampliata dal legislatore, al fine di estendere l’applicazione dell’art. 2112 c.c. [6]. Ad un certo punto, tuttavia, la disposizione civilistica parrebbe aver mutato natura. A seguito del profondo cambiamento che ha coinvolto la figura del datore di lavoro nel contesto del mercato globale e in risposta alle esigenze di efficienza e competitività che inducono sempre più l’impresa ad assecondare le necessità economiche imperanti [7], l’art. 2112 c.c. è infatti divenuto (anche) strumento di decentramento e/o esternalizzazione di parti di azienda (c.d. ramo). Il trasferimento di ramo d’azienda comporta di fatto l’uscita automatica dei lavoratori addetti al ramo ceduto il cui rapporto è destinato a continuare ope legis con il cessionario e dunque a prescindere, oltre che dal consenso, da eventuali procedure (e relativi costi) di [continua ..]


3. La disciplina del rapporto di lavoro del lavoratore trasferito

Dal punto di vista della disciplina applicabile al rapporto del lavoratore trasferito, è necessario distinguere tra piano legale e piano contrattuale collettivo. Per quanto concerne la disciplina legale non si pongono problemi, perché assai difficilmente si profilano possibilità di una sua diversificazione quale conseguenza della modificazione del datore di lavoro. Possono invece esserci mutamenti di disciplina sul piano contrattuale collettivo, che in genere costituisce la parte più sostanziosa della regolamentazione (sistema di inquadramento, orari di lavoro, retribuzione, indennità). È dunque sul versante della disciplina contrattuale che si possono riscontrare le più forti differenze tra il trattamento precedente e quello successivo al trasferimento. In proposito, il terzo comma dell’art. 2112 c.c. dispone che «il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario». Ciò significa che il lavoratore trasferito, una volta che si trovi a dipendere dal cessionario, potrà chiedere che gli vengano applicati i trattamenti contrattuali che gli venivano applicati in precedenza alla condizione che il cessionario già non applichi un altro contratto collettivo. Solo nell’ipotesi (assai rara) in cui il cessionario non applichi un contratto tale da poter sostituire il contratto collettivo del cedente, il lavoratore potrà pretendere di mantenere la precedente disciplina (e anche in questo caso) fino alla sua scadenza. L’effetto di sostituzione automatica che questo terzo comma dell’articolo 2112 consacra, si realizza solo (limite introdotto nel 2001) tra contratti collettivi dello stesso livello. Il contratto nazionale sostituisce automaticamente quello nazionale, l’aziendale sostituisce l’aziendale. Può darsi che il cedente applichi solo un contratto aziendale (Fiat) e a questo punto il cessionario potrebbe decidere di applicare il proprio contratto nazionale con tutti i problemi che ne derivano (applicare il nazionale del cessionario e l’aziendale del cedente). Per la complessità della questione e la delicatezza del mutamento di disciplina collettiva (che la [continua ..]


Note