Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La responsabilità penale-fallimentare di amministratori, sindaci e revisori (di Valerio Longi)


Il tema che mi è stato affidato, i reati penali fallimentari, è obiettivamente affine a quello dei reati penali societari, oggetto della relazione dell’avvocato Lageard, pertanto, pur essendo il mio intervento incentrato, in particolare, sulle figure soggettive, cioè sui soggetti attivi di tali reati, eviterò di affrontare i temi già esaurientemente trattati dall’avv. Lageard, con particolare riferimento al tema della responsabilità degli amministratori privi di delega. Parlare della responsabilità dell’amministratore per i reati fallimentari, o per altro genere di reati, rimanda direttamente alla dicotomia, ben nota, tra amministratore di diritto e amministratore di fatto: ben nota perché, con particolare riferimento ai reati fallimentari, peraltro come anche per i reati societari, sono reati propri, cioè reati che non possono essere commessi da chiunque ma soltanto da soggetti che rivestano determinate qualifiche soggettive. Nel caso dei reati penali fallimentari, tali qualifiche sono quelle previste dagli artt. 216 ss. l. fall., ovvero l’imprenditore, titolare di un’impresa individuale, con l’estensione delle qualifiche soggettive operata dagli artt. 223-224 l. fall., che rimandano agli amministratori, ai sindaci ai liquidatori con riferimento alle società, e anche dall’art. 222 l. fall., con riferimento alle società di persone e ai soci limitatamente responsabili delle stesse. Ovviamente, la necessità primaria è definire, con precisione, il perimetro entro il quale opera la qualificazione soggettiva, ovvero il riferimento alla figura dell’amministratore. Chi sono gli amministratori? Per giurisprudenza ormai acquisita, sono tali non soltanto coloro che assumono la funzione tipica, investiti della carica e del ruolo con a monte una nomina formalmente attribuita, ma anche chi esercita di fatto poteri tipici gestionali. Tale orientamento giurisprudenziale, andato formandosi nel tempo già nei decenni scorsi, era sostanzialmente indiscusso, tanto da essere recepito dal legislatore con la riforma dei reati societari del 2002 entrata in vigore nel 2003, che ha riformulato l’art. 2639 c.c., prevedendo, in una disposizione normativa, quanto da tempo si affermava in giurisprudenza. La mera lettura della rubrica della norma (“Estensione delle qualifiche soggettive”) introduce alla novità, ovvero l’assimilazione, al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge, di colui che è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, nonché, soprattutto, chi esercita in modo continuatio i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. La disposizione è dettata “per i reati previsti dal presente titolo”, ma, mutatis mutandis, lo stesso tipo di considerazione vale anche per i [continua..]

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