Il tema della responsabilità degli amministratori non esecutivi è assai rilevante, considerato che, soprattutto negli ultimi anni, l’evoluzione della giurisprudenza in materia è stata molto complessa e notevolmente feconda sotto plurimi aspetti, nonché assai ondivaga come avremo modo di verificare in seguito. In questi anni, infatti, è stata affrontata una grande quantità di problematiche non di poco rilievo legate al tema della responsabilità degli amministratori non esecutivi, basti pensare alla questione relativa all’esistenza di un effettivo potere impeditivo in capo all’amministratore in esecutivo, a quella della sussistenza del nesso causale fra la condotta omissiva e l’evento pregiudizievole nonché alla questione di maggior rilievo che è quella attinente alle estreme difficoltà che presenta, in queste circostanze, l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato.
In questa sede, tratterò un unico tema specifico che è quello relativo all’evoluzione giurisprudenziale in ordine ai cosiddetti segnali di allarme. I segnali di allarme sono un’invenzione della giurisprudenza per cercare di affrontare il tema estremamente complesso dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato posto in essere dagli amministratori senza delega nell’ambito della loro attività, elemento soggettivo che fa riferimento al dolo eventuale (se si trattasse di dolo diretto il tema sarebbe completamente diverso, ricadremmo in un caso di concorso, ed evidentemente sotto questo profilo non ci sarebbero problemi).
La questione della responsabilità degli amministratori senza delega ha indotto la giurisprudenza ad effettuare una serie di passaggi interpretativi di non poco conto. Molto rapidamente mi limito a ricordare la giurisprudenza anteriore alla riforma del diritto societario del 2003. Questa giurisprudenza seguiva un orientamento per cui per rinvenire una responsabilità di tipo omissivo in capo agli amministratori non esecutivi era sufficiente riscontrare la volontarietà nell’inadempimento dei doveri di controllo, considerata alla stregua di una mera accettazione del rischio di qualunque sviluppo negativo della gestione delle imprese e ciò a prescindere dall’effettiva rappresentazione e accettazione dell’evento che si fosse realizzato in concreto. Tale giurisprudenza era pressoché monolitica prima del 2003 e sosteneva che la posizione assunta all’interno dell’organizzazione da parte del singolo soggetto fosse di per sé considerata un indicatore di dolo, il cosiddetto dolo di posizione; secondo quanto sostenuto da tale giurisprudenza, i vertici non potevano non sapere che altri soggetti avrebbero potuto commettere atti illeciti nell’esplicazione del loro mandato, e pertanto su di essi ricadeva una responsabilità la [continua..]