Quando il prof. Quattrocchio mi ha proposto di intervenire su questo tema ha incontrato immediatamente la mia adesione perché è un tema che trovo di estremo interesse, per un verso, e che ha una ricca casistica, per altro verso.
Con particolare riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento dell’imposta, previsto dall’art. 11 del d.lgs. n. 74/2000, recante la disciplina penale tributaria, è uno di quei reati, generalmente, di agevole istruttoria per i pubblici ministeri, giungendo la segnalazione di reato dell’Agenzia delle Entrate, piuttosto che della Guardia di Finanza, con un ricco corredo documentale, che costituisce generalmente la prova regina per tali reati. E ritengo, proprio in ragione del carattere essenzialmente documentale della prova, che sia uno di quei reati dai quali è difficile difendersi, perché laddove c’è la prova del compimento di un determinato atto dispositivo, la preesistenza di una situazione debitoria nei confronti dell’amministrazione finanziaria e un evidente pregiudizio, derivante dalla commissione dell’atto dispositivo, per la stessa amministrazione finanziaria, diventa difficile riuscire a convincere il giudice del fatto che in realtà altre fossero le finalità perseguite.
Procedendo per sommi capi la trattazione del tema assegnatomi, direi che i reati astrattamente prospettabili nell’atto di compiere atti di conservazione del patrimonio sono sostanzialmente due, talvolta addirittura concorrenti, ovvero la fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale prevista dall’art. 216 l.f. e, appunto, il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
La questione del rapporto tra le due fattispecie, in realtà, non è definitivamente risolta, perché la Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sul punto: se quell’atto che, per un verso, ha sottratto al proprio patrimonio, e quindi alla garanzia generica nei confronti dei propri creditori, una parte dello stesso patrimonio, e, per altro verso, ha sottratto lo stesso patrimonio alla possibilità per l’amministrazione finanziaria di procedere a riscuotere coattivamente i propri crediti, possa, in caso di fallimento dell’imprenditore che l’atto abbia compiuto, integrare l’uno e l’altro dei reati in questione.
Sul punto si è creato un contrasto di giurisprudenza, non ancora sopito e forse destinato a costituire oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite: nel 2011 vi sono state due pronunce di segno antitetico, per un verso si è detto che i reati sono in rapporto di specialità per cui doveva trovare applicazione soltanto la norma più grave, cioè quella contemplante il reato di bancarotta fraudolenta, per altro verso, altra sentenza dello stesso anno della Suprema Corte ha sostenuto escluso trattarsi di di un concorso apparente di [continua..]