Diritto ed Economia dell'ImpresaISSN 2499-3158
G. Giappichelli Editore

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La tutela penalistica in ambito transnazionale (di Antonio Francesco Morone)


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SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La disciplina penale della proprietà industriale dopo la legge n. 99/2009 - 2.1. Contraffazione e vendita di prodotti con segni mendaci (artt. 473 e 517 c.p.). - 2.2. Fabbricazione e commercio di beni usurpando titolo di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.) e tutela dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.). - 2.3. La tutela del Made in Italy (art. 4, legge n. 350/2003) - 3. Le fattispecie tipicamente transfrontaliere (artt. 474, 517-ter, comma 2, e 517-quater, comma 2, c.p.) - 4. Le contraffazioni commesse all’estero - 5. I nuovi strumenti di diritto penale a contrasto della contraffazione: confische e responsabilità da reato dell’ente - 6. Gli strumenti processuali penali - 7. I sequestri da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Reg. UE n. 608/2013) - 8. Conclusioni - BIBLIOGRAFIE ESSENZIALI


1. Premessa

La disciplina penale della proprietà industriale, considerando il forte impatto della contraffazione commessa fuori dal territorio italiano e dell’Unione europea, pone certamente sempre più pressanti esigenze di tutela in un’ottica transfrontaliera e transnazionale. In tale prospettiva, occorre innanzitutto prendere atto che il nostro legislatore, grazie all’importante intervento della legge n. 99/2009, ha significativamente modificato le principali fattispecie previste nel nostro codice penale (si pensi alla riscrittura degli artt. 473 ss. e 517 ss. c.p.), introdotto nuove ipotesi di reato e previsto nuovi strumenti di contrasto sia di diritto penale sostanziale che processuali. L’ottica transfrontaliera peraltro è direttamente contemplata in diverse fattispecie che puniscono direttamente l’introduzione nel territorio dello Stato di oggetti contraffatti. La materia, tutelata dal punto di vista civilistico anche in sede europea (con apposita procedura di registrazione del marchio europeo), a livello processuale penale vede un importante ruolo in capo alla Agenzia delle Dogane, i cui poteri sono stati oggetto di un apposito Regolamento Europeo (n. 1352/2013).


2. La disciplina penale della proprietà industriale dopo la legge n. 99/2009

Prima del 2009, il cuore della repressione della contraffazione trovava la sua disciplina negli artt. 473, 474, 517 c.p. e nell’art. 4, comma 49, legge n. 350/2003. In particolare i primi due articoli punivano: da una parte, la contraffazione o l’alterazione di marchi o segni distintivi, di brevetti o disegni e modelli industriali, nonché l’utilizzo di tali marchi o brevetti contraffatti o alterati; dal­l’altra l’introduzione nel territorio dello Stato per finalità commerciali, nonché la vendita, la detenzione per la vendita e la messa in circolazione di prodotti con marchi o segni distintivi contraffatti o alterati (sulla disciplina ante 2009 per tutti v. MARINUCCI, Il diritto penale dei marchi, Milano, 1962 e ROSSI A., La tutela penale dei segni distintivi, in DI AMATO, Trattato di diritto penale dell’impresa, vol. IV, Il diritto penale industriale, Padova, 1993, p. 139). L’art. 517 c.p. dal canto suo sanzionava la vendita o la messa in circolazione, l’importazione, l’esportazione o la commercializzazione di prodotti con nomi, marchi o segni distintivi atti a indurre in inganno il compratore sull’o­ri­gine, provenienza o qualità del prodotto. Tale fattispecie peraltro è stata espressamente estesa dall’art. 4, comma 49, legge n. 350/2003 alle false o fallaci indicazioni di origine “Made in Italy” apposte su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine. In estrema sintesi, si può dire che la legge 23 luglio 2009 n. 99 “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” (per un commento v. CINGARI, Il contrasto alla contraffazione: evoluzione e limiti dell’intervento penale, in RIDPP, 2011, 1064 e MUSSO, SANGIORGIO, La tutela penal-industriale dopo la riforma del 2009, in CorM, 2011, 5), ha introdotto le seguenti novità: a) lo sdoppiamento in due fattispecie dell’art. 473 c.p., per punire, rispettivamente, la contraffazione di marchi e segni distintivi e quella di brevetti, disegni o modelli industriali; b) un’analoga suddivisione in due distinte condotte dell’art. 474 c.p., di cui la prima riferita all’introduzione nel territorio dello Stato, al fine di [continua ..]


2.1. Contraffazione e vendita di prodotti con segni mendaci (artt. 473 e 517 c.p.).

Prima di analizzare più nel dettaglio le fattispecie tipicamente transfrontaliere, seppur brevemente è necessario analizzare gli elementi costitutivi e di differenziazione delle fattispecie base di contraffazione attualmente vigenti, ossia i reati contemplati dagli artt. 473 e 517 c.p. e i reciproci rapporti (per approfondimenti, v. ALESSANDRI, I marchi nei delitti contro la fede pubblica, in Trattato teorico/pratico di diritto penale, diretto da Palazzo, Paliero, VIII, Re­ati in materia economica, a cura di Alessandri, Torino, 2011, 515; COCCO, sub art. 473, in Codice penale commentato, a cura di Ronco, Romano, Torino, 2012, 2301 e INFANTE, La falsificazione e l’uso dei segni falsi, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, V, diretto da Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Torino, 2010, 231). Partendo dall’art. 473 c.p. (Contraffazione, alterazione o uso di marchio segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni), tale norma sanziona, al I comma «chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati» e, nel com­ma 2, «chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati». In dottrina si è sottolineato come tale delitto possa in teoria ergersi a protezione di tre beni giuridici: fede pubblica, fede pubblica “specifica” ovvero ancora proprietà industriale (v. sul tema GATTA, La disciplina della contraffazione del marchio d’impresa nel codice penale (artt. 473 e 474): tutela del consumatore e/o del produttore?, in Dir. Pen. Cont., 2012). In effetti in proposito la stessa Cassazione ha avuto modo di precisare che «tale norma si propone di tutelare la fede pubblica contro specifici attacchi insiti nella contraffazione di marchi o di altri segni distintivi; intendendosi la pubblica fede, con specifico riferimento alle norme in questione, in senso oggettivo, quale affidamento dei cittadini e non del singolo, sicché non [continua ..]


2.2. Fabbricazione e commercio di beni usurpando titolo di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.) e tutela dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.).

Altra novità della legge n. 99/2009 è l’inserimento di una norma sussidiaria ossia l’art. 517-ter c.p. (fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale) il quale, fatta salva l’applicazione degli artt. 473 e 474 c.p., al comma 1 sanziona «chiunque, potendo conoscere dell’esi­stenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa». Anche tale norma richiedere che «siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale» (sul punto v. MADEO, Dubbi sul momento iniziale della tutela penale del marchio, in Dir. pen. proc., 2010, 572 ss.). La norma per l’appunto è volta ad estendere la tutela penale dei diritti di proprietà industriale ai fatti di fabbricazione o commercio di beni con usurpazione del titolo di proprietà industriale, non aventi ad oggetto cose con i segni distintivi contraffatti o alterati (per approfondimenti, v. LOMBARDO M., Voce «Usurpazione di titoli di proprietà industriale e contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine agroalimentari», in Dig. pen., 2013). Il bene giuridico protetto da tale norma incriminatrice va individuato nel diritto allo sfruttamento del titolo di proprietà industriale diversamente dai reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p., caratterizzati dalla tutela degli interessi della generalità dei consumatori. Sempre nel 2009 viene inserito nel codice penale l’art. 517-quater c.p. (Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari), che sanziona, tra l’altro, «chiunque contraffa o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari». La disposizione richiede anche in questo caso che siano state «osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali in materia di tutela delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti [continua ..]


2.3. La tutela del Made in Italy (art. 4, legge n. 350/2003)

L’art. 4, comma 49, legge n. 350/2003 (modificato dal d.l. n. 35/2005) prevede che «l’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale». La stessa norma definisce cosa si intende per falsa indicazione ossia la stampigliatura «made in Italy» su prodotti e merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine; mentre costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli. Sempre la disposizione citata – e questo è un dato di certo interesse per il tema transfrontaliero – prevede che «le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio». L’art. art. 4, comma 49-bis, legge cit. prevede peraltro una sanzione amministrativa per il caso di fallace indicazione dell’uso del marchio, ossia l’uti­lizzo da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’ef­fet­tiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Quanto al rapporto fra la fattispecie di cui all’art. 517 c.p. e l’art. 4 della legge n. 350/2003, la IV Sezione della Cassazione con una recente sentenza (Cass. pen., Sez. [continua ..]


3. Le fattispecie tipicamente transfrontaliere (artt. 474, 517-ter, comma 2, e 517-quater, comma 2, c.p.)

Venendo ai reati tipicamente transfrontalieri occorre ricordare come in ben tre fattispecie del codice penale si sanzioni proprio l’introduzione nel territorio dello Stato di prodotti oggetto di contraffazione. Partendo dall’art. 474 c.p., tale norma punisce tra l’altro chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall’articolo 473, «introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati». Anche in questo caso il fatto è punibile a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale. Si tratta di un reato di pericolo, non risultando necessaria l’avvenuta realizzazione dell’inganno del cliente sulla genuinità della merce (v., ad es., Cass. pen., Sez. V, 10 giugno 2014, n. 51698 e Id., Sez. II, 17 marzo 2015, n. 14090). Quanto ai rapporti fra i delitti di cui agli artt. 474 e 517 c.p. la Cassazione ha avuto modo di affermare che «integra il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, di cui all’art. 474 c.p., e non il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, di cui all’art. 517 c.p., la condotta di acquisto per la rivendita al pubblico di beni con marchi o segni distintivi falsificati se vi è sostanziale identità del “logo” riprodotto rispetto a quello originale, in quanto il primo delitto si riferisce a prodotti recanti marchi – e, quindi, segni distintivi delle ditte produttrici – contraffatti, mentre il secondo, posto a tutela dell’ordine economico, punisce la messa in circolazione di prodotti dell’ingegno od opere industriali recanti marchi o segni distintivi atti ad ingannare il compratore su origine, provenienza o qualitа della merce» (Cass. pen., Sez. II, 17 febbraio 2017, n. 27376, in CED Cass. 270312). Gli stessi artt. 517-ter e 517-quater c.p. contemplano, entrambi al comma 2, anche l’ipotesi di introduzione nel territorio dello Stato rispettivamente di beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso e di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di [continua ..]


4. Le contraffazioni commesse all’estero

Passando ai fatti di contraffazione commessi all’estero e alla loro punibilità secondo il diritto penale italiano, occorre distinguere fra fatti commessi completamente all’estero o solo in parte. Come noto, l’art. 6 c.p. (reati commessi nel territorio dello Stato) prevede che «chiunque commette un reato nel territorio dello Stato и punito secondo la legge italiana» e, al II comma, che «il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione». Di conseguenza è sufficiente che una parte dell’azione sia stata commessa in Italia, per cui anche i fatti non tipicamente transfrontalieri (ossia quelli che non puniscono direttamente l’introduzione nel territorio dello Stato di prodotti contraffatti) possono essere puniti nel nostro Stato purché una parte dell’a­zio­ne sia ivi avvenuta. In tema la Cassazione ha avuto modo di affermare, ad esempio che «integra il reato previsto dall’art. 474 c.p. l’introduzione di prodotti con segni falsi nelle acque territoriali italiane, anche se non risulti superata la barriera doganale» (Cass. pen., Sez. V, 9 gennaio 2009, n. 7064, in CED Cass. 243235). Se, viceversa, il fatto di contraffazione è commesso da un cittadino italiano interamente all’estero, poiché tali reati sono delitti comuni, occorre riferirsi a quanto stabilito dall’art. 9, II comma, c.p., il quale prevede che «il colpevole è punito a richiesta del ministro della giustizia ovvero a istanza, o a querela della persona offesa». Per lo straniero che commette il fatto interamente all’estero non è prevista la punibilità in Italia, in quanto l’art. 10 c.p. limita l’appli­ca­bilità del diritto italiano ai reati con un minimo di pena di un anno di reclusione di pena.


5. I nuovi strumenti di diritto penale a contrasto della contraffazione: confische e responsabilità da reato dell’ente

Fra le novità introdotte sempre dalla legge n. 309/1999, sempre a livello di diritto penale sostanziale, occorre ancora menzionare due significativi e moderni strumenti di contrasto, ossia l’applicazione della confisca per equivalente e l’inserimento di tali reati fra quelli presupposto della responsabilità da reato degli enti. Quanto alla prima misura, l’art. 474-bis c.p. prevede che «(1) nei casi di cui agli articoli 473 e 474 è sempre ordinata, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, a chiunque appartenenti. (2) Quando non è possibile eseguire il provvedimento di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto. Si applica il terzo comma dell’art. 322 ter. (3) Si applicano le disposizioni dell’art. 240, commi terzo e quarto, se si tratta di cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, ovvero che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto, appartenenti a persona estranea al reato medesimo, qualora questa dimostri di non averne potuto prevedere l’illecito impiego, anche occasionale, o l’illecita provenienza e di non essere incorsa in un difetto di vigilanza». La confisca per equivalente, introdotta originariamente nel nostro codice all’art. 322-ter per taluni delitti contro la Pubblica Amministrazione, ha visto man mano allargare sempre più la sua applicazione (si pensi all’estensione nel 2008 ai reati fiscali) e rappresenta uno strumento efficacissimo sia sotto il profilo retributivo sia sotto l’ottica general e special preventiva. La misura, come si legge nella norma, consente in definitiva l’ablazione di beni per un valore corrispondente al profitto del reato purché nella disponibilità del reo (per approfondimenti v. GUALTIERI, La confisca ex art. 474 bis c.p. di beni serviti alla commissione del reato, in CorM, 2011, 632 e, più in generale sulla confisca, v. VERGINE, Sequestro e confisca per equivalente, Milano, 2009 e). Sempre attingendo ai più moderni strumenti di contrasto della criminalità d’impresa, nel 2009 è stata estesa [continua ..]


6. Gli strumenti processuali penali

Il legislatore del 2009, come anticipato, non si è limitato a modificare al campo sostanziale ma è significativamente intervenuto anche sul codice di procedura penale, secondo una prospettiva multidisciplinare che è senz’altro apprezzabile. In estrema sintesi vanno ricordati tali tre importanti novità: a) l’attribuzione alle Direzioni Distrettuali Antimafia della competenza per i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p. (art. 51, comma 3-bis, c.p.p.); b) l’estensione a tali due reati della disciplina delle operazioni sotto copertura contenute nella legge sulla criminalità organizzata transnazionale (art. 9, legge n. 146/2009); c) le limitazioni all’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per il reato di cui all’art. 416, commi 1 e 3, realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 (art. 4-bis, comma 1-ter, legge n. 354/1975). Va ricordato, peraltro, che già in precedenza la legge n. 9/2013 aveva modificato l’art. 266 c.p.p., aggiungendo al novero dei reati per i quali può essere richiesto l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche le principali fattispecie in tema di contraffazione. Quanto a mezzi di ricerca della prova e cautelari reali, occorre da ultimo un cenno al tema dei sequestri. La prima forma di sequestro disciplinata nel c.p.p. è il sequestro probatorio. L’art. 253 c.p.p. prevede che «(1) l’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti. (2) Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo». Interessante notare come la Cassazione abbia avuto modo di precisare che «la regolarizzazione amministrativa dei prodotti che, in quanto commercializzati con false o fallaci indicazioni di provenienza, siano oggetto di sequestro probatorio, non impone la revoca del sequestro, dovendo comunque il giudice accertare che non permangano ancora quelle specifiche esigenze probatorie che avevano giustificato l’apposizione ed il mantenimento del vincolo cautelare» (Cass., Sez. III, 9 febbraio 2010 n. 19746, in CED Cass. 247484). La seconda forma di misura possibile nella fase delle indagini [continua ..]


7. I sequestri da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Reg. UE n. 608/2013)

Ruolo di primo piano nell’applicazione di tali strumenti appartiene all’A­genzia delle Dogane e dei Monopoli, la quale insieme alla Guardia di finanza (Nucleo Speciale Tutela Proprietà Intellettuale) e al Consiglio Nazionale Anticontraffazione (C.N.A.C.), sono gli enti deputati istituzionalmente al contrasto e alla prevenzione delle contraffazioni. Ebbene il Regolamento dell’UE n. 608/2013 all’art. 17 (sospensione dello svincolo o blocco delle merci a seguito dell’accoglimento di una domanda) prevede, tra l’altro, che «(1) Se le autorità doganali individuano merci sospettate di violare un diritto di proprietà intellettuale coperto da una decisione di accoglimento di una domanda, esse sospendono lo svincolo o procedono al blocco delle merci. (2) Prima di sospendere lo svincolo o di procedere al blocco delle merci, le autorità doganali possono chiedere al destinatario della decisione di trasmettere loro tutte le informazioni pertinenti per quanto riguarda le merci. Le autorità doganali possono anche fornire al destinatario della decisione informazioni sulla quantità effettiva o stimata di merci e sulla loro attuale o presunta natura nonché, se del caso, immagini degli stessi». L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha emesso alcune Circolari interpretative sull’applicazione di tale disposizione. In particolare con la Circolare 30 dicembre 2013 è stato previsto che «relativamente alla comunicazione delle informazioni pertinenti il sequestro al destinatario della decisione, gli uffici che hanno sospeso lo svincolo o hanno proceduto al blocco della merce, nella comunicazione della notizia di reato ex art. 347 c.p.p. provvederanno a chiedere contestualmente all’Autorità Giudiziaria il nulla osta alla trasmissione dei dati rilevanti allo scrivente e al titolare del Diritto di proprietà industriale (DPI)» (in https://www.adm.gov.it). Più di recente con Circolare del 5 settembre 2017, l’Agenzia delle Dogane e Monopoli, con riferimento al reato di cui all’art. 517-ter c.p., considerando la procedibilità a querela, ha disposto che gli Uffici sul territorio «informeranno il destinatario della decisione che le merci saranno svincolate in caso di mancata presentazione della denuncia/querela ovvero nel caso in cui il destinatario della decisione [continua ..]


8. Conclusioni

I dati statistici messi a disposizione dalla Guarda di Finanza mettono in luce come il fenomeno della contraffazione rappresenti sempre di più un danno gravissimo per l’economia del nostro paese. Si pensi che nel periodo 2008-2016 si stima che vi siano stati sequestri di prodotti contraffatti per oltre 1,5 miliardi di euro (Lotta alla contraffazione e tutela del made in Italy, Documento di analisi n. 5, a cura del Senato della Repubblica, in https://www.senato.it, 2017, 71). Risulta peraltro che i sequestri effettuati negli spazi doganali rappresentano una minima percentuale, con un trend discendente passato dal 13% del 2012 al 3% del 2016 (Lotta alla contraffazione e tutela del made in Italy, cit., 74), dimostrando come i canali di trasferimento del materiale contraffatto siano sempre più alternativi alle vie di comunicazione tradizionali (si pensi al ruolo giocato da internet). Abbiamo visto che, anche se sussistono alcuni dubbi interpretativi soprattutto nella disciplina della tutela del made in Italy, gli strumenti nazionali di contrasto sono stati significativamente rafforzati dalla legge n. 99/2009. Anche a livello europeo e sovranazionale gli organismi internazionali sono sempre più organizzati. Basti pensare che di recente (più precisamente il 12 luglio 2016 presso la sede di Europol a L’Aja) è stato istituito l’“IPC3” – Intellectual Property Crime Coordinated Coalition, allo scopo di implementare ulteriormente la collaborazione tra istituzioni, agenzie ed esponenti del settore privato, a livello europeo ed internazionale, per l’armonizzazione degli strumenti normativi e procedurali funzionali al contrasto del mercato globale del falso, nonché per assicurare un supporto altamente qualificato alle indagini condotte nello specifico comparto. In conclusione, si ritiene che il nostro ordinamento, grazie ai rinnovati strumenti di diritto penale e a rafforzate norme processuali, abbia disciplinato in modo più efficace la materia del contrasto alla contraffazione. Resta la necessità che Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane e ogni altro ente demandato al controllo e alla prevenzione della contraffazione siano dotati di adeguati mezzi e risorse: non v’è chi non veda che per il nostro paese la lotta alla contraffazione è un obbiettivo su cui occorre investire sempre di più.


BIBLIOGRAFIE ESSENZIALI