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1. Premessa - 2. La commissione di massimo scoperto - 3. Il contrasto - 4. Le Sezioni Unite - NOTE
Il ruolo della commissione di massimo scoperto nel calcolo del tasso effettivo globale è stato oggetto di numerosi e contrastanti interventi nell’ambito della giurisprudenza, in particolare di merito. L’intervento delle Sezioni Unite civili a distanza di 9 anni dalla modifica del regime della CMS ad opera della legge n. 2/2009 rappresenta un esempio della perdurante attualità del tema. La sentenza n. 16303 in commento non mancherà di attirare critiche, in particolare da parte di coloro che hanno sempre sostenuto che le Istruzioni della Banca d’Italia, in quanto non contemplavano la CMS nel calcolo del TEGM, fossero illegittime e da disapplicare in quanto in contrasto con la norma di cui all’art. 644 c.p. che, in quanto di rango legislativo, prevarrebbe sulla fonte secondaria chiamata ad integrare la fattispecie penale. La decisione in commento pone fine, non sappiamo se in via definitiva, a quel filone giurisprudenziale inaugurato dalla sentenza n. 12208/2010 con la quale la Cassazione penale affermò in maniera espressa che, nonostante le istruzioni della Banca d’Italia la escludessero, la CMS doveva essere considerata nel calcolo del TEG.
Prima di analizzare il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite, si ritiene utile delineare un quadro, seppur sommario, della natura e del rilievo della commissione di massimo scoperto. Come noto, per determinare il contenuto dell’art. 644 c.p., norma penale parzialmente in bianco, è necessario riferirsi ad altra fonte normativa, il decreto ministeriale, che è il risultato di una procedura amministrativa complessa. Senza la pubblicazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi ad opera dei decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze, il reato non sarebbe punibile per la mancanza di un elemento essenziale della fattispecie. Il meccanismo delineato dalla legge n. 108/1996 è stato ritenuto ossequioso della riserva di legge, poiché il legislatore avrebbe stabilito criteri vincolanti della discrezionalità amministrativa: la onnicomprensività del tasso e la sua riferibilità a categorie omogenee di operazioni, per natura, durata, rischio e garanzie, secondo una classificazione annuale, affidata agli stessi decreti ministeriali [1]. Tali decreti hanno precisato, sin dalla prima rilevazione (art. 3, comma 2 dei vari D.M. che si sono succeduti nel tempo), che «le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura”» emanate dalla Banca d’Italia. In tali “Istruzioni” – a partire dalla circolare della Banca d’Italia del 30 settembre 1996 e poi nelle successive del 2003 e del 2006 – oltre ad indicare specificatamente quali oneri e spese debbono essere inclusi nel calcolo del tasso effettivo e quali no, è stabilito che la commissione di massimo scoperto (CMS) [2] non entra nel calcolo del TEGM, ma rilevata separatamente ed espressa in termini percentuali. Anche la correzione proposta dal Bollettino di Vigilanza della Banca d’Italia del dicembre 2005, sulla base del quale anche la CMS deve essere confrontata con la CMS soglia (ottenuta aumentando la CMS media pubblicata in maniera analoga a quanto avviene per il tasso di interesse), non ha modificato la formula di calcolo del TEG, al cui interno la CMS continuava a non essere computata. La metodologia per il calcolo [continua ..]
Sul valore delle Istruzioni della Banca d’Italia e sulla loro efficacia in rapporto al contenuto dell’art. 644 c.p. si è scritto molto e la Corte di Cassazione si è pronunciata in diverse occasioni. Sono certamente note, e ad esse fanno riferimento le Sezioni Unite in commento, le sentenze della seconda sezione penale nn. 12208 e 28743/2010 e la n. 46669/2011, che hanno rappresentato finora un punto di riferimento per coloro che sostengono la necessità di computare la CMS nel calcolo del TEG, indipendentemente da quello che stabiliscono le Istruzioni della Banca d’Italia. Secondo tale orientamento il tenore letterale dell’art. 644 c.p., comma 4, secondo il quale «per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito», impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con l’uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo collegato all’erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente (cfr. Cass. pen., sez. II, 12 febbraio 2010, n. 12028; Cass. pen., sez. II, 14 maggio 2010, n. 28743; Cass. pen., sez. II, 23 novembre 2011, n. 46669). La tesi inclusiva della CMS nel calcolo del TEG avrebbe trovato conferma anche per il passato con l’approvazione della legge 28 gennaio 2009, n. 2, di conversione del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, il cui art. 2-bis, ad avviso della Cassazione, «può essere considerat[o] norma di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., comma 4, in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme» (Cass. pen., sez. II, 12 febbraio 2010, n. 12028). A questo orientamento se n’è contrapposto un altro, sostenuto in particolare dalla I sezione civile della Corte di Cassazione che, con le sentenze n. 12965 del 22 giugno 2016 e 22270 del 3 novembre 2016, giunge a differenti [continua ..]
La decisione n. 16303 si pone, seppur con qualche distinguo, nel solco dell’orientamento sostenuto dalle sezioni civili della Cassazione. Si afferma infatti che la disposizione di cui all’art. 2-bis del d.l. n. 185/2008 non può essere qualificata norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 4, c.p. A tale risultato si perviene semplicemente analizzando il testo della norma citata che, oltre a non contenere alcuna espressione che evochi tale natura, prevede una disciplina transitoria che evidenzia, al contrario, la sua natura innovativa. «Depongono, infatti, nel senso della natura innovativa della disposizione sia l’espressa previsione, al comma 2, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa, in attesa della quale il modo di determinazione del tasso soglia “resta regolato dalla disciplina vigente (…)”, sia la previsione, al comma 3 (poi abrogato dal d.l. n. 1/2012, cit.), che “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data”». La Corte esclude che il carattere interpretativo della norma in esame possa, come da taluni sostenuto, essere riferito al comma 4 dell’art. 644 c.p. e non al comma 3, vale a dire che la CMS possa essere computata nel calcolo del TEG in concreto e non ai fini della determinazione del TEGM. Utilizzando un argomento, criticato da taluni ma ampiamente utilizzato da quanti, Sezioni Civili comprese, ritengono fondamentale l’omogeneità della grandezze in campo, i supremi giudici scrivono che «una tale asimmetria», quella che si creerebbe tenendo conto nel calcolo del TEG di una voce di costo esclusa dal calcolo del TEGM e quindi della soglia, «contrasterebbe palesemente con il sistema dell’usura presunta come delineato dalla legge n. 108/1996, la quale definisce alla stessa maniera (…) sia (…) gli elementi da considerare per la determinazione del tasso in concreto applicato, sia (…) gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale (…) del TEGM (…); con ciò indicando con chiarezza che gli elementi rilevanti sia agli uni che agli altri effetti sono gli stessi». L’esclusione del carattere interpretativo, e quindi retroattivo, dell’art. [continua ..]